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La vicenda FIBE-Impregilo nella crisi dei rifiuti, racconta un’altra storia…

La prima puntata del nuovo format di Fanpage.it, Italian Leaks, condotto dal giornalista Sandro Ruotolo, ha puntato i riflettori sull’ipotesi di trattativa Stato-Camorra nell’occasione della crisi del rifiuti, intervistando alcuni dei suoi protagonisti, l’ex subcommissario all’emergenza rifiuti Giulio Facchi e l’europarlamentare Massimo Paolucci. Oggetto della puntata, che merita sicuramente di essere vista, è l’ipotesi di una trattativa, sicuramente non l’unica visto il precedente storico della vicenda relativa alla liberazione dell’assessore Cirillo, rapito dalle BR nel 1981. La Trattativa, secondo questa teoria, sarebbe stata finalizzata all’apertura delle discariche necessarie per la rimozione dei rifiuti dalle strade.

La lunga emergenza dei rifiuti della Campania può essere indubbiamente letta come lo specchio fedele della natura del potere di questo angolo d’Italia, delle sue eccedenze, delle sovranità limitate e dei suoi “stati d’eccezione”, tuttavia sono rimasto molto colpito dal fatto che, almeno dal racconto dei personaggi intervistati, sia sparito uno dei protagonisti principali della vicenda rifiuti, ovvero la FIBE, l’ATI che avrebbe dovuto realizzare il piano dei rifiuti,  grazie ai poteri straordinari che i commissari di governo avevano a disposizione. A mio modesto parere il cortocircuito tra interessi e poteri, tra stato e camorra, non può invece che essere individuato proprio a partire dal piano rifiuti e dall’affidamento in appalto alla società vincitrice.

La proclamazione dello stato d’emergenza avrebbe dovuto costituire l’occasione per spezzare il legame con i clan, dagli inizi degli anni ’80 penetrati nella raccolta e nello smaltimento dei rifiuti nelle cave autorizzate ed in quelle illegali, nelle quali sono stati sversati anche veleni ed i rifiuti industriali provenienti dal nord. La gestione “eccezionale” dei rifiuti ha finito invece per diventare un nuovo strumento di infiltrazione mafiosa, proprio perché al di fuori di ogni controllo democratico di una emergenza che determinava scelte indotte all’emergenza stessa, e che ha finito per inquinare ancora di più l’ambiente e l’economia della nostra regione.

Un’emergenza durata quasi vent’anni

L’emergenza rifiuti in Campania fu proclamata l’11 febbraio del 1994. Il primo “piano dei rifiuti”, dopo decenni di sversamenti abusivi in cave non “a norma”, gestite nella gran parte dei casi da prestanome della Camorra, puntò già tutto sugli inceneritori e fu ipotizzato nel 1995 dalla giunta regionale Giovanni Grasso (DC, presidente della Campania tra il 1993 ed il 1995). Si trattava di un piano che risentiva dell’atmosfera da “tramonto del pentapartito”, infatti prevedeva la bellezza di 24 inceneritori e ben 61 discariche, una torta interessante per quasi tutti i principali comuni della Campania. Fortunatamente però non fu mai realizzato.

La successiva giunta di centrodestra di Antonio Rastrelli (AN, presidente della Campania dal 1995 al 1999), anch’egli commissario all’emergenza rifiuti, varò un piano regionale che invece prevedeva 5 termovalorizzatori, 15 impianti di trattamento finalizzati a creare CDR (Combustibile Derivato dai Rifiuti che si ottiene eliminando la frazione umida e materiali come il vetro, i metalli, etc.) e 7/8 impianti di compostaggio. La previsione dei termovalorizzatori fu poi rivista al ribasso (al massimo due in Campania) dal ministro all’Ambiente Edo Ronchi (Governo D’Alema) in quanto, per legge, la quota minima di differenziata deve essere nell’ordine del 35%, mentre del restante 65% solo una metà può essere bruciata.

In pratica (e riassumendo) il piano dei rifiuti avrebbe dovuto prevedere la destinazione ad incenerimento del 32% dei rifiuti, la frazione organica (per un 33% stimato) avrebbe dovuto essere trasformata in compost e finalizzata al recupero ambientale, un 3% di scarti ferrosi recuperato ed una quota del 34%, da ridurre al 14%, destinata in discarica.

Per il piano Rastrelli l’ENEL e la AMIU di Modena (poi diventata META), si erano impegnate con un accordo “bipartisan” a costruire i due termovalorizzatori a costo zero (smaltimento e combustione) in cambio dei vantaggi legati ai contributi CIP6 (cioè gli incentivi stabiliti dal Comitato Interministeriale Prezzi per l’energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili e “assimilate”), che all’epoca si aggiravano sulle 296 lire a kwh prodotta.

I CIP6 furono introdotti dagli articoli 20 e 22 della legge 9/1991 e dalla successiva delibera n. 6 del 29 aprile 1992, la quale aggiunse alle fonti rinnovabili (sole, vento, geotermia, etc.) gli incentivi anche alle fonti assimilate, creando di fatto una norma che consentì al nostro paese, unico caso in Europa, di finanziare anche le centrali a carbone e gli inceneritori di rifiuti con il 7% della bolletta per l’energia pagata da tutti i residenti in Italia.

Al piano Rastrelli, per il quale era stata immaginata una soluzione basata sulla concertazione, il governo impose però la gara comunitaria, alla quale si presentarono solo ENEL e FIBE (L’acronimo FIBE sta per Fisia, Impregilo, Babcok, Evo Oberrhausen, le società dell’ATI che vinse la gara, con la Fisia del gruppo Impregilo capofila) che, come è noto, vinse l’appalto in forza di una minore offerta economica e di una tempistica (300 giorni) che le consentì di sbaragliare l’offerta dell’ENEL (l’80% dei punteggi da assegnare ai progetti riguardavano appunto tempi e prezzo). Da segnalare che l’ENEL, che si era offerta per realizzare un termovalorizzatore a costo zero, presentò poi l’offerta economica più onerosa.

In base all’offerta vinta da FIBE, il termovalorizzatore avrebbe dovuto essere pronto per il 31 dicembre dell’anno 2000. Il capitolato derogava la VIA, la Valutazione d’Impatto Ambientale, una clausola tanto più grave se si considera che la ditta poteva scegliere, senza concordarlo nemmeno con i comuni, il sito dove realizzare l’impianto.

Chi è oggi la Salini Impregilo

Come recita il sito web del gruppo Salini Impregilo, che sbandiera sulla home page ottimi risultati di gestione, è una multinazionale nata agli inizi degli anni ’90, ma che ha una storia ben più lontana, “erede com’è di importanti imprese italiane: Girola, Lodigiani, Impresit e Cogefar che hanno segnato, sin dai primi anni del 1900, con le loro opere l’evoluzione dell’ingegneria civile in tutto il mondo”.

Salini Impregilo è un gruppo industriale specializzato nella realizzazione di grandi opere complesse, una forte realtà italiana capace di confrontarsi alla pari con i maggiori competitor internazionali. Come si può leggere dalla loro homepage:

Attivo in più di 50 Paesi con 35.000 dipendenti, un giro d’affari annuale di circa € 4,7 miliardi ed un portafoglio ordini che supera i € 33 miliardi*, il gruppo è un global player nel settore delle costruzioni, leader mondiale per le infrastrutture nel segmento acqua.

Salini Impregilo fonda la propria attività su una forte passione per il costruire, consolidatasi attraverso le innumerevoli realizzazioni a livello internazionale. Dighe e impianti idroelettrici, opere idrauliche, ferrovie e metropolitane, aeroporti e autostrade, edilizia civile ed industriale sono i settori di attività in cui il Gruppo opera da oltre 100 anni.

Il management e tutto il Gruppo sono impegnati ad operare secondo principi ambientali, etici e professionali conformi ai più elevati criteri internazionali di governance e citizenship.

A partire dal 2005 il gruppo è stato controllato per circa un 30% del capitale sociale da Igli SpA, a sua volta controllata in modo paritetico, con quote del 33% da Argofin (società del gruppo Gavio), da Atlantia SpA (ex Autostrade, famiglia Benetton) e Immobiliare Lombarda (gruppo Ligresti). Tra il 2012 ed il 2014 il gruppo Salini acquisì con due Opa l’86% delle azioni ordinarie acquistando prima la quota del gruppo Gavio (29,9%), e successivamente le altre.  Attualmente, con la fusione avvenuta nel 2014 tra il gruppo Salini SpA, ed Impregilo, il capitale del gruppo è controllato da Salini Costruttori SpA per una quota del 67,06%, da un 32,31 di azionisti di mercato e da una percentuale del 0,63% del Ministero del Tesoro.

Dal 1974 al maggio del 2007, del gruppo si è “occupato” Cesare Romiti, che nello stesso anno in cui lasciò la presidenza di Impregilo capitolò e cedette anche tutte le sue quote della Finanziaria Gemina, passata sotto il controllo di una cordata promossa da Gilberto Benetton, un’operazione complessa che, per evitare l’acquisizione della società da parte degli australiani di Macquarie, portò ad un aumento di capitale interamente finanziato a debito per per circa 600 milioni.

Sarà lo stesso Romiti, all’atto del suo addio dalla Impregilo, nel maggio del 2007, a ricordare in un’intervista al Sole 24 Ore le turbolenze finanziarie patite da tutte le sue controllate, in particolare dalla Impregilo, durante il periodo della crisi dei “bond” del 2002-2004:

“Il periodo dei bond lo ricordo come molto doloroso (…) nel sistema bancario italiano ci fu una banca in particolare che amò mettere i bastoni fra le ruote ed è una cosa che mi ha lasciato amarezza, io che sono sempre stato amico di Enrico Cuccia”.

In verità le esposizioni di Gemina pesavano già da tempo sul portafogli di casa Romiti. Nel 2002, la “crisi dei bond” (argentini) mandò in rosso anche la società di famiglia, la Miotir (anagramma di Romiti), che aveva 35,7 milioni di euro di debiti con le banche a fronte di un patrimonio netto di 25 milioni. Lo stato di salute della società di famiglia era lo specchio delle sofferenze finanziarie di tutte le altre controllate: RCS, Impregilo (con il 24%), Aeroporti di Roma, etc.(Dall’Archivio Online di Repubblica, Ettore Livini)

Insomma, agli inizi dell’avventura sulla “monnezza” campana, gli “Eroi” del nord che avevano messo le mani sull’affare erano praticamente rimasti quasi “in mutande”.

L’origine del disastro nella gestione della crisi dei rifiuti

Dalla gara indetta dalla giunta Rastrelli all’irreversibilità del disastro vero e proprio, intercorrono poco più di 15 mesi, durante i quali cambiano governi nazionali, ministri dell’ambiente, giunte regionali e commissari straordinari ai rifiuti.

Quando, il 16 aprile del 2000, Antonio Bassolino vince le elezioni regionali della Campania, succedendo alla giunta di Andrea Losco (Udeur, Presidente della Campania tra il 1999 ed il 2000), nata da un ribaltone in seno alla maggioranza di centrodestra, la FIBE ha appena vinto l’appalto per la realizzazione dei termovalorizzatori e dei 7 impianti per realizzare le “ecoballe” di CDR. Nel frattempo, dopo due anni tribolati, il 25 aprile del 2000, cade il governo D’Alema, sostituito da Giuliano Amato, e cambia anche il ministro all’Ambiente, Willer Bordon succede ad Edoardo Ronchi. La competenza del commissariato ai rifiuti passa ad Antonio Bassolino, ed è in questa fase che le scelte dell’ex governatore determineranno una sua responsabilità politica nel disastro dei rifiuti degli anni a seguire.

Nel piano dei rifiuti predisposto da Rastrelli, che Bassolino eredita, il contributo CIP6 che aveva destato gli appetiti dei grandi gruppi industriali veniva destinato solo ad una quota dei rifiuti destinata all’incenerimento. Nel frattempo il Comitato Interministeriale Prezzi aveva rivisto al ribasso il contributo, portandolo dal 296 lire a Kwh a 180 lire a Kwh, rendendo (a gara chiusa) meno interessante l’affare per il gruppo FIBE. Antonio Bassolino si trovò di fronte ad un vincitore della gara che voleva ridiscutere il contratto con la possibilità di mandare tutto a monte, ma decise di dare continuità alle scelte della precedente esperienza di governo regionale.

Secondo una testimonianza di Giulio Facchi, ex subcommisario allo sviluppo della raccolta differenziata, Bassolino partecipò ad una riunione a palazzo Chigi a Roma con il ministro all’Ambiente Willer Bordon ed i responsabili del commissariato nominati dalla precedente giunta di Andrea Losco, Enrico Soprano (il cui studio legale assisteva la Impregilo), Salvatore Acampora, che in seguito sarà ingegnere capo del progetto del Termovalorizzatore di Acerra e Raffaele Vanoli, amico dell’imbroglione di fama internazionale, Mario Scaramella.

Nella riunione in questione, dichiarò Facchi:

“Bassolino convince il governo a riconoscere a Impregilo-Fibe ciò che chiede. Viene cancellato ogni riferimento all’accordo di programma che, come previsto dal bando di gara, avrebbe obbligato il vincitore a fare i conti con le indicazioni della committenza. Viene riconosciuta la tariffa originaria prevista dagli accordi Cip6. È un passaggio cruciale. Si legge negli atti parlamentari della commissione di inchiesta “Russo”: “L’eliminazione dell’accordo di programma cancella la possibilità di un’ulteriore negoziazione del contratto con Impregilo-Fibe, indispensabile per superare la sostanziale genericità del progetto. A cominciare dai tempi di realizzazione degli impianti, dagli obblighi nelle more della sua realizzazione”.

Antonio Bassolino, preoccupato del rischio dell’ingestibilità dell’emergenza rifiuti, a ridosso delle elezioni politiche del 2001 (nelle quali come sappiamo vinse Silvio Berlusconi), si accordò con il Ministro all’Ambiente, e con soggetti che anziché rappresentare l’interesse pubblico si fecero da garanti della FIBE, prendendo impegni che non avevano niente a che vedere con il bando di gara.

Dice ancora Giulio Facchi:

“L’operazione si tramuta in un simulacro di project financing, ciò che non è mai stata. Impregilo è libera di scegliere i terreni degli impianti e sulle casse pubbliche grava un nuovo, imprevisto onere, che è quello di soccorrere finanziariamente chi ha vinto la gara per pagare i siti di stoccaggio temporanei delle “ecoballe”.

In pratica l’Impregilo, che ha vinto la gara in forza di una più “vantaggiosa” offerta sulla tempistica per la realizzazione del progetto, e sui vantaggi “economici” per i rifiuti smaltiti, ottiene di poter scegliere i terreni su cui realizzare gli impianti ed anche di poter bruciare una quantità di rifiuti pari alla quantità prodotta in tutta la Campania, ovvero 7000 tonnellate al giorno, disattendendo le raccomandazioni dell’ex ministro Ronchi, sulla base del quale era stato sviluppato il bando di gara.

La truffa delle Eco-“Palle”.

Come tutti hanno capito le Eco-Balle prodotte dagli impianti per la realizzazione del CDR, sarebbero tecnicamente combustibile (la stessa sigla CDR sta per Combustibile Derivato dai Rifiuti) ovvero materiale che viene prodotto per essere bruciato nei Termovalorizzatori al fine di ricavarne energia. Se consideriamo il contributo, in termini di CIP6 per ogni Kwh prodotta, le Eco-Balle sono l’equivalente di un controvalore economico rilevante. Almeno sulla carta.

Nel 2001 Antonio Bassolino autorizzò lo stoccaggio delle ecoballe prodotte dai CDR in Campania, che non potevano essere bruciate, in quanto non esisteva ancora il termovalorizzare, derogando un’altra norma prevista dal bando di gara, per la quale si prevedeva che se l’azienda aggiudicatrice l’appalto non avesse rispettato i tempi di realizzo del termovalorizzatore, avrebbe dovuto farsi carico dello smaltimento dei rifiuti.

I siti in cui verranno stoccate le Eco-balle vennero individuati nei comuni di Giugliano a nord di Napoli (siti di Masseria del Pozzo e Masseria del Re), Villa Literno (Lo Spesso) e Marcianise in provincia di Caserta, di Avellino, a Casalduni ed Eboli (Coda di Volpe).

La trattativa tra Stato e camorra di cui si parla nella puntata di Italian Leaks, è comunque un’ipotesi realistica che è stata fatta diverse volte dal PM Ardituro, attualmente membro togato del CSM, tuttavia questa trattativa avrebbe riguardato l’affidamento del trasporto dei rifiuti alle ditte di movimento terra e l’affitto dei terreni su cui sono state stoccate le Eco-balle, oltre alla questione delle discariche di Pianura e Chiaiano.

Questa vicenda, estremamente rilevante, non può però non essere letta alla luce di quanto dichiarato più volte dall’ex assessore regionale Ganapini (Giunta Bassolino 2005-2010) il quale riteneva di poter risolvere la crisi aprendo la discarica già pronta di Parco Saurino, in località Santa Maria la Fossa (CE), la cui capienza avrebbe potuto sopportare tutta la quantità di rifiuti prodotta in Regione per un anno. Quella discarica non fu aperta per le pressioni fatte da esponenti dei servizi segreti. Vale inoltre notare che i territori in cui sono ubicate le discariche di Pianura e Chiaiano rientrano nei mandamenti storici dei clan napoletani e di Marano, ovvero i Polverino-Nuvoletta, mentre a Giugliano è difficile immaginare che l’ubicazione del più ampio sito di stoccaggio delle Eco-balle non vedesse anche il favore del clan dei Mallardo.

Nel corso degli anni sono state stoccate 8 milioni di Eco-balle procurando, come si legge nell’ordinanza di rinvio a giudizio del Gup Marcello Piscopo, nel febbraio 2008, “un ingiusto vantaggio patrimoniale consistente da un lato di evitare (…) esborsi economici per conferire le stesse presso altri impianti di recupero energetico esistenti, dall’altro la possibilità di effettuare il loro recupero energetico presso i termovalorizzatori ubicati in campania se realizzati, con conseguente vendita dell’energia prodotta alle tariffe contrattuali previste e nel mantenimento del rapporto contrattuale”. A ciò va poi aggiunto il vantaggio alla FIBE di non essersi dovuta fare carico dell’esborso dovuto all’inadempienza contrattuale ed il danno ambientale arrecato con la realizzazione di una discarica illecita.

Ma perchè FIBE, firmato nel 2000 il contratto con Bassolino, ritarda per anni i lavori per la realizzazione del termovalorizzatore, pur avendo la possibilità di scegliere il sito, ed impiega quattro anni per chiedere e ottenere dal ministro dell’Ambiente del nuovo governo di centro-destra, Altero Matteoli, l’autorizzazione ad allacciare il futuro termovalorizzatore di Acerra alla rete ENEL? condizione imprescindibile per metterlo in funzione?

Una parziale risposta la diede sempre Giulio Facchi sul suo blog: “Perché? Perché Impregilo entra subito in sofferenza finanziaria e, di fatto, le banche che la sostengono diventano le vere interlocutrici del Commissario. Ottengono nuove clausole contrattuali che gli consentano di sfilarsi, come avverrà, in caso di inadempimento di Impregilo, senza doverne sostenere i costi”.

Le Eco-balle stoccate, e nella disponibilità dell’ATI, erano diventate di fatto beni patrimoniali nominali, in quanto considerabili unità di combustibile, a garanzia dei creditori, ovvero le banche.

In realtà le Eco-balle (o meglio le Eco-palle), come risulterà dalle indagini della magistratura, non potevano nemmeno essere bruciate in quanto, invece di contenere solo il 15% di umidità, avevano una percentuale di umido superiore al 30%, superiore quindi anche al 25% previsto dal decreto Ronchi. In pratica la spazzatura “Tal quale” veniva semplicemente impacchettata senza effettuare la separazione dei materiali da destinare all’incenerimento. Nel 2008 il governo Berlusconi interverrà per risolvere il problema cambiando le norme, autorizzando il termovalorizzatore a bruciare anche rifiuti speciali.

Quando la FIBE deciderà l’area dove realizzare il termovalorizzatore, lo farà ad Acerra, proprio a fianco alla Montefibre, su un suolo di proprietà del Ministero della Difesa, un’area da decenni avvelenata dalla diossina e sulla quale il governo Prodi ha emanato due decreti, il n. 4 del 23 giugno 2006, e quello del 12 gennaio 2007 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale italiana n. 14 del gennaio 2007), aventi come oggetto la “Proroga dello stato di emergenza nel territorio del comune di Acerra, in provincia di Napoli, per fronteggiare l’inquinamento ambientale da diossina” e l’ordinanza 3586 del 24 aprile 2007 con la quale venivano predisposti i primi interventi per fronteggiare l’emergenza diossina sul quel territorio. La FIBE però non gestirà l’impianto, che verrà ceduto alla società A2A.

Nel frattempo Impregilo ha completato la fusione con la Salini, ed uno dei più importanti gruppi industriali del paese era uscito dalla tempesta finanziaria.