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Obiezione di coscienza: Il mercato del lavoro chiama, la morale risponde

Quando la morale viene solleticata le reazioni sono spesso contrastanti e i toni si accendono. Questa volta – l’ennesima – a finire nell’occhio del ciclone è l’obiezione di coscienza, ma le polemiche sembrano non estinguersi in una mera lotta di religione.

A fare scalpore è stata l’assunzione di due ginecologici in un ospedale romano per le richieste di ammissione al bando di concorso. Questo specificava l’ indicazione delle funzioni da svolgere per le prestazioni assistenziali legate all’erogazione di un servizio, che al San Camillo-Forlanini, è “strettamente finalizzato a operare richieste di interruzione di gravidanza”, come dichiarato dal Governatore del Lazio, Zingaretti.

“I vincitori del bando – spiega Fabrizio d’Alba, direttore generale del suddetto ospedale – per i primi sei mesi non potranno optare comunque per l’obiezione di coscienza.” E trascorso tale periodo “l’azienda potrebbe essere nella possibilità, stante la finalizzazione del bando, di optare anche per la messa in mobilità o in esubero”.

L’ordine dei Medici-Chirurghi ed Odontoiatri di Roma contesta che l’esercizio di un diritto, quale l’obiezione di coscienza, possa pregiudicare la situazione lavorativa ed ha richiesto che si pronunciasse in merito la FNOMCEO, la cui Presidente, Roberta Chersevani, ha rimandato la questione all’attenzione del prossimo Comitato Centrale, che si riunirà l’11 marzo; nel frattempo si è già esposto il Presidente emerito della Corte Costituzionale, Cesare Mirabelli, per il quale “un concorso che esclude coloro che sono obiettori è di dubbia legittimità”.

L’ospedale dal suo canto ritiene di aver operato in un’ottica che tutela in maniera prevalente il diritto delle donne a ricevere la prestazione. Di fatto in questo caso sembra che i diritti non si contemperino e la comunità medica si spacca in due, tra quelli che giustificano la condotta dell’ospedale tenendo conto dei dati disarmanti sugli obiettori di coscienza in Italia e quelli che contestano più che la discriminazione tra i concorrenti insita nel bando, quella esistente tra i due neoassunti del San Camillo, destinati al Day Hospital e Day Surgery per l’applicazione della legge 194, e i loro colleghi ginecologi, dal momento che per i primi è previsto un trattamento che permetterebbe alle norme contrattuali individuali di lavoro quantomeno di condizionare un diritto garantito per legge, quello all’obiezione. Secondo, infatti, l’art.9 della 194 “la regione ne controlla e garantisce-(riferendosi all’interruzione di gravidanza)- l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale”, ma non attraverso esuberi.

A tal proposito è opportuno ricordare come il diritto all’obiezione trovi una sua logica nel periodo d’introduzione della normativa, dal momento che una comunità di ginecologici, ostetriche, infermieri di punto in bianco non si è trovata di fronte più ad un reato, ma ad una scelta rispondente unicamente alla propria morale. A distanza di quarant’anni quella comunità è stata sicuramente sostituita da professionisti consapevoli del diritto all’ IVG prima di intraprendere ogni tipo di percorso specializzante e non è accettabile constatare quanto la morale possa condizionare in maniera ancora così preponderante l’ erogabilità di una prestazione sanitaria nel settore pubblico.

E’ pur vero che se pensiamo a questo diritto come al retaggio di una cultura non confacente alle esigenze reali di un paese moderno viene il Consiglio d’Europa a ricordarci con una risoluzione del 2010 che

«Nessun ospedale, ente o persona può essere oggetto di pressioni, essere ritenuto responsabile, essere obbligato o subire discriminazioni di alcun tipo per aver rifiutato di essere sede, eseguire o assistere una interruzione di gravidanza, un aborto spontaneo indotto, un atto eutanasico o qualsiasi azione che potrebbe causare la morte di un feto o di un embrione, qualunque siano le ragioni».

La scorsa primavera, tuttavia, il Comitato Europeo dei diritti sociali, dopo lettura dei dati presentati dalla CGIL, ha condannato l’Italia per la violazione di numerose disposizioni della Carta Sociale Europea, poiché l’alta percentuale di obiezione di coscienza e la mancata adozione delle necessarie misure per rendere effettiva l’applicazione della legge violano il diritto alla salute della donna e il diritto al lavoro del personale sanitario non obiettore. Salvo poi apprendere a luglio che il Comitato Europeo dei Ministri, persuaso dai dati presentati dal Ministero della Salute sul calo della percentuale di richiesta di aborti tra il 2013 e il 2014 con un crollo della pressione sui non obiettori, comunica di “accogliere con favore gli sviluppi positivi intervenuti”.

La Lorenzin, però, ad esser sinceri non la racconta tutta perché, come scrive Cecilia Strada su facebook:

“Ostacolare le donne che chiedono un’interruzione volontaria di gravidanza nel sistema sanitario nazionale non fa ridurre o scomparire gli aborti: li sposta soltanto nel privato, dove qualcun altro ci guadagna su, o li sposta in una dimensione clandestina, dove di aborto le donne possono morire”. La stessa aggiunge che “chi per motivi etici, vuole scongiurare l’ipotesi che si ricorra all’aborto dovrebbe per coerenza essere in prima linea a chiedere di diffondere l’educazione sessuale nelle scuole, la pianificazione familiare e la disponibilità di contraccettivi (possibilmente gratuiti) per tutti.”

Le parole del Presidente di Emergency fanno eco alle statistiche che ci tengono ben lontani dai restanti Paesi d’Europa non solo in termini di educazione sessuale e di cultura della protezione nei rapporti, ma parallelamente anche nella percentuale di medici obiettori, che è al di sotto del 10%, se non addirittura del 5%, in Francia, Germania, Gran Bretagna, a fronte di un 70% in Italia, con picchi vicino all’85% in Lazio, Basilicata, Campania, Sicilia e Molise, volendo poi tralasciare i Paesi in cui non è legalmente concessa l’obiezione come Svezia, Finlandia, Bulgaria e Repubblica Ceca.

Eppure ritornando alla questione specifica del “San Camillo”, questa potrebbe celare un aspetto non irrilevante, quello legato al mercato del lavoro. I due ginecologi, infatti, erano già precari della suddetta azienda ospedaliera, dove per ottenere la stabilità lavorativa hanno accettato, partecipando al concorso, un pregiudizio sull’esercizio di un diritto, appunto il rischio della messa in esubero in caso di inadempienza contrattuale, in caso, cioè, di sopraggiunta volontà di esercitare il diritto all’obiezione.

Quindi, quello che sembra un passo in avanti nell’assistenza alle cure della donna, si traduce evidentemente in una mossa a favore del personale non obiettore, ma con un sostanziale incentivo al ribasso.

In Italia, inoltre, l’obiezione non produce costi diretti per l’ospedale, bensì vantaggi per chi la esercita, visto che i colleghi non obiettori data l’esiguità del personale si ritrovano a dedicare la loro attività lavorativa esclusivamente ad aborti, venendo così discriminati non solo in termini di crescita professionale, ma anche di turni e di ferie. L’obiezione pare la strada più razionale, se non vogliamo dire, la più conveniente, per fare carriera, alla faccia di quella morale che i non obiettori, che abbracciano la missione nonostante le ripercussioni lavorative, sembrerebbero non conoscere; o forse conoscono un’altra morale, quella che per Schopenhauer fonda  nel più disinteressato amore e nel più generoso sacrificio di sé, nel sentimento della compassione.