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Dalle denunce ai pettegolezzi: l’incubo senza fine di Ciro Scarciello

“Non pagava le tasse e voleva parlare di camorra”

È  questo il pettegolezzo che sta insinuandosi tra i vicoli di Napoli, dopo la lettera “denuncia”  contro Ciro Scarciello, il salumiere napoletano divenuto simbolo della lotta alla criminalità organizzata e rappresentazione plastica  del fallimento delle Istituzioni e della società civile.

Un pettegolezzo -dicevo- che come una larva si fa strada tra i vicoli della città eterna, nei bassi dagli occhi  coperti e la bocca serrata che non sentono più il rumore dell’aria tagliata dai proiettili.
Un pettegolezzo  volto a delegittimare l’impegno che Ciro ha messo nella lotta alla criminalità, che non si preoccupa del  dolore né della sofferenza di questi anni. Di Ciro e della sua famiglia.

Chi conosce Napoli sa che le parole di scherno, specie in certi ambienti, valgono più di una denuncia. Perché la camorra non vive di querele ma di consenso. Ed oggi dal basso senza occhi né orecchie né lingua, si vocifera che in fondo Scarciello quelle minacce, quegli spari, il bancone rotto, le saracinesche distrutte non solo se le è meritate ma anche che non era in diritto di denunciare degli atti così vili perché un evasore.
Un infame che ha denunciato l’illegalità per puro opportunismo. Per farsi un po’ di pubblicità. Un copione visto e rivisto.

Come nel caso di Peppino Impastato, morto per mano della mafia marchiato
-all’indomani della sua morte-  come il “Terrorista di sinistra che si fa esplodere sui binari”.
TERRORISTA DI SINISTRA.  Negli anni delle BR. Nella notte del corpo di Aldo Moro ucciso per mano di queste. O come nel caso di Giancarlo Siani, il giornalista con la macchina “Appariscente”; o come nel caso di Giovanni Falcone, il magistrato che lottava contro la mafia perché  alla ricerca di notorietà; o di Roberto Saviano, il giornalista scrittore che viene dalla 167 e che si è fatto i soldi parlando di camorra  dal suo attico a New York, dove vive insieme alla scorta che noi  paghiamo.

Tutto  questo per sottolineare il potere delle parole in certi ambienti. E di quanto queste, più delle estorsioni e dei proiettili, rendano fertile il terreno ove le organizzazioni criminali mettono le proprie radici e tessono la tela dei loro affari.  Un semplice pettegolezzo -che a furia di ripeterlo somiglia sempre più alla verità- basta a vanificare anni di lotta contro la criminalità organizzata.  Perché è di questo che si tratta, di un pettegolezzo considerato che  Scarciello non ha confermato né smentito le accuse che gli sono state rivolte e che i magistrati non hanno ancora emesso sentenza.

 “Chi si fa portatore di parole come legalità e poi non si comporta correttamente va denunciato non solo in sede legale”

Così si conclude la lettera. Come a voler dire “Ciro, se non avessi denunciato la camorra non ti avrei denunciato. Perché saresti stato coerente”.

Verrebbe voglia di capovolgere il discorso, di usare la stessa logica e di chiedere:

Dov’eri  mentre sparavano sull’uscio della salumeria? Perché non hai denunciato il fatto? Per la coerenza criminale degli esecutori? E verrebbe da chiederlo perché chi gira  la testa dall’altra parte e poi rivendica giustizia, va denunciato pubblicamente.
Ma non lo si chiede. Si passa oltre…

Caro Ciro, Giovanni Falcone, poco prima di morire disse che in Italia, per essere presi sul serio, tocca morire ammazzati. Purtroppo è così. La tua  colpa  è quella di essere ancora in vita.  E la tua storia, la rappresentazione plastica dell’ennesimo, abnorme,  fallimento delle Istituzioni e della società, verrà nascosta sotto  al tappeto del pettegolezzo.
Non pagava le tasse e voleva parlare di camorra.