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Los Angeles Lakers, si riparte da Jeanie e Magic

Una stagione a dir poco travagliata, una battaglia fratricida per il comando della franchigia, l’arrivo di Magic Johnson a capo delle operazioni cestistiche e infine un draft potenzialmente decisivo per il futuro dei gialloviola. Un draft chiamato Lonzo.

La stagione: 26 vinte e 56 perse, terzo peggio record NBA (secondo peggiore ad ovest dietro Phoenix), un offensive rating di 106.0 (ventitreesimo su trenta), un difensive rating di 113.0 (trentesimo su trenta) e un pace di 98.5 (sesto coefficiente più alto della lega). Un allenatore- Luke Walton– al primo anno da head coach dopo l’apprendistato alla corte di Steve Kerr a Golden State, con una missione chiara: portare quanto più Warriors-style possibile nelle vene degli young Lakers; per ora missione vastamente incompiuta ma dichiararla fallita dopo appena un anno sarebbe scorretto e quindi meglio interrogarsi su cosa portare via di buono da una brutta stagione.

Il roster: Ad una prima occhiata, almeno cinque-sei giovani talenti su cui puntare (Randle, Russell, Ingram, Zubac, Clarkson e Nance jr.); ad una seconda e più approfondita occhiata, così sicuri che i sei appena citati oltre ad essere giovani siano pure forti? Cominciamo dall’ala forte Julius Randle, tecnicamente al terzo anno nella lega ma in realtà al secondo avendo trascorso il primo, quello da rookie, in infermeria con una gamba fratturata: 13.2 punti, 8.6 rim, 3.6 ass e uno stock (steals+blocks) di 1.2 il tutto in 28.8 minuti di media, parametrando su 36 minuti viene fuori: 16.5 punti, 10.7 rim, 4.5(!) ass, uno stock difensivo di 1.4 tirando col 47,4% dal campo il 27% da tre e il 72.3% dalla lunetta su 4.8 tentativi. A giudicare dal complesso delle statistiche menzionate, viene fuori un discreto scorer che con il suo 54.3 di TS% si issa giusto alla soglia di rispettabilità realizzativa necessaria, un bel rimbalzista e soprattutto un notevole passatore con il suo 19.5 di AST% e 1.53 di AST/TO; difensivamente Randle, il cui personale Defensive Rating è di 107 e il cui Defensive Box Plus/Minus è di 0.7 (entrambe statistiche sopra media nel contesto dei Lakers, il che però non vuol dire troppo trattandosi della peggior difesa NBA), pare mediocre ma non pessimo e comunque col potenziale necessario per diventare almeno un average defender. Da una R all’altra, (D’Angelo) Russell: per 36 minuti 19.6 punti, 4.4 rim, 6.0 ass, 1.7 stl tirando col 40.5% dal campo il 35.2 da tre su 7.2(!) tentativi a gara e il 78.2 ai liberi; la sua media punti per 36 min e il suo 26.7 di USG% sembrano indicare una tendenza da realizzatore di volume, epperò un volume scorer dalla – attualmente- molto ridotta efficienza con un 51.8 appena di TS% e 48.3 di EFG%, dunque pare chiaro come il problema maggiore di Russell sia la sua cattiva, se non pessima, shot selection considerando che la parte migliore del suo repertorio offensivo consiste nel tiro da tre in situazioni di ricevi e tira (Russell ha mandato a bersaglio il 41.1% dei tiri da tre presi in situazione di c.d. catch and shoot quest’anno) ed è proprio questa sua caratteristica ad avere indotto alcuni analisti a chiedersi se il ceiling cioè il vero potenziale di Russell non sia in realtà quello di uno specialista off ball, una guardia in grado di attivare efficacemente la transizione ma il cui pane e burro NBA potrebbe essere quello di tiratore perimetrale accanto ad un altro play in grado di servirlo col giusto timing e nelle giuste situazioni di gioco. Dalla parte di Russell come da quella di Randle c’è peraltro un grande alleato: Father Time, ovvero la carta d’identità delle due high lottery picks sorride ai due losangelini avendo 22 anni Julius e 21 D’Angelo.

J.Randle(30) e D.Russell(1). Alle loro spalle J.Clarkson.

La green line continua e raggiunge il proprio apice con il centro croato al primo anno Ivica Zubac (20 anni) e la rookie small forward uscita da Duke Brandon Ingram (19 anni). Cominciamo da quest’ultimo: Ingram ha avuto- statisticamente- una stagione da rookie decisamente difficile con medie di 9.4 punti, 4.0 rim, 2.1 ass, 0.5 blk in quasi 29 minuti di gioco tirando col 40.2% dal campo il 29.4% da tre e il 62% dalla lunetta, di negativo inoltre ci sono un pessimo Offensive Box Plus/Minus a meno 3.1 (il peggiore di tutto il roster eccetto Huertas e Metta W.P.) e un ancor peggiore meno 0.3 di WS (Win Shares, in questo caso il peggiore del roster senza eccezioni); epperò queste statistiche consuntive dell’intera stagione non dicono tutta la verità sull’anno da rookie di Ingram, infatti il suo post all-star game recita: 21 partite, 32.2 min, 13.2 punti, 3.9 rim, 2.5 ass, 1.1 stl, 0.5 blk tirando col 47.5% dal campo ed innalzando il proprio TS% dal 45.2% del pre all-star game al 51.7 e il proprio USG% dal 15.7 al 19.6, insomma dopo la pausa di metà febbraio Ingram ha avuto più responsabilità e più tiri ma è riuscito a coniugarli con una migliore e più efficiente produttività individuale. Segni di crescita. A proposito di crescita, Ivica Zubac: 7.5 punti, 4.2 rim, 0.9 blk in 16 minuti di media tirando col 52.9% dal campo e il 65.3% dalla lunetta che per 36 diventano 16.8 punti, 9.4 rim e 2.0 stoppate ad uscita mostrando tangibili segni d’impatto sia come finisher attorno al ferro in attacco che come rim protector nella propria metà campo difensiva; a farla breve, combinando le statistiche con l’età e il ruolo in campo, Zubac sembra buono.

I.Zubac(40) e B.Ingram(14) provano a fare di Belinelli una piadina.

Ad aumentare di un po’ l’età media dello young core dei Lakers ci pensano i pur (abbastanza) giovani Clarkson e Nance, entrambi ventiquattrenni. Clarkson è una combo guard dalle più che discrete doti realizzative con una media per 36 minuti di 18.1 punti a partita tirando col 44.5% dal campo e il 32.9% da tre su 5.3 tentativi a gara e questa è la parte buona, quella meno buona è legata alle sue lacune in fatto di playmaking skills, alla sua inaffidabilità difensiva e alla sua acclarata ritrosia nel generare contatto e drenare falli dalle difese avversarie (appena 2.5 liberi tentati per 36 minuti); Clarkson è sotto contratto per altri tre anni a 12.5 milioni di dollari di media l’anno, è un discreto giocatore con un contratto più che accettabile, dovessero Magic Johnson e Rob Pelinka decidere di muoverlo sul mercato farebbero ben poca fatica. Chiudiamo sul roster dei Lakers occupandoci di Larry Nance Jr., superficialmente conosciuto per essere uno dei 10 schiacciatori più eccitanti attualmente in giro per la lega ma che si sta in realtà trasformando in una c.d. advanced-stats darling, espressione utile ad indicare giocatori che, pur non essendo tra i più naturalmente talentuosi delle proprie compagini, riescono però ad incidere in maniera sorprendentemente positiva sulle sorti della propria squadra pur senza essere particolarmente vistosi in campo: nel caso di Nance un impressionante, dato il contesto, 2.3 di Defensive Box Plus/Minus (primo per distacco, il secondo essendo Randle a 0.7), 3.5 di WS (statistica migliore della squadra ex aequo con Randle) e .118 di WS/48 (anche qui primato in solitaria). In poche parole, il miglior Laker dell’annata 2016/2017.

Larry Nance Jr. al ferro. Meglio “sopra” al ferro.

Il draft: Avendo chiuso la stagione col terzo peggior record NBA i Lakers coltivano ragionevoli aspettative di esercitare una delle prime tre scelte al prossimo draft di giugno sapendo comunque di non poter scendere al di sotto della sesta chiamata assoluta. In teoria, scendere dalla terza alla sesta sarebbe una mezza tragedia per chiunque; in pratica, per l’attuale situazione draft dei losangelini sarebbe una vera e propria ecatombe. Infatti, qualora la scelta finisse al di fuori delle prime tre chiamate assolute del prossimo draft, i Lakers sarebbero costretti a cedere la scelta di quest’anno (quarta, quinta o sesta chiamata) a Philadelphia, conservando per sé la scelta del 2018 e devolvendo la propria first-rounder del 2019 agli Orlando Magic. Questa più o meno complessa architettura è una corrente conseguenze della trade che anni fa, coinvolgendo anche Philadelphia, portò Dwight Howard da Orlando a Los Angeles. Laddove, invece, come auspicano il nuovo President of Basketball Operations Magic Johnson e il suo braccio destro Rob Pelinka (appena nominato General Manager dopo un vita passata a rappresentare giocatori in veste di procuratore, tra i giocatori rappresentati da Pelinka anche un certo Kobe Bryant…) la scelta dovesse rimanere tra le prime tre chiamate e dunque appartenere di diritto ai Lakers, Philadelphia si accontenterebbe (felicemente) di ricevere la scelta di Los Angeles nel 2018 mentre a rimetterci davvero sarebbe Orlando che vedrebbe definitivamente sfumare la possibilità di mettere le mani sulla chiamata al primo giro dei Lakers nel 2019 ottenendo a (molto) parziale risarcimento solo due second-rounder dai californiani targate 2017 e 2018.

Earvin “Magic” Johnson e Rob Pelinka si presentano alla stampa di Los Angeles.

Chiarite, si spera, queste- peraltro fondamentali- tecnicalità, la domanda importante è: chi vogliono i Lakers? La risposta che il rumore di fondo del mondo NBA vuole pressoché unanime è: Lonzo Ball, il play (puro) in uscita dall’università di UCLA (University of California, Los Angeles) che è cresciuto tifando Lakers e che in più dice di ispirare il proprio stile di gioco a quello di un certo Earvin “Magic” Johnson. Non c’è solo Lonzo a giurare amore ai Lakers- spingendosi a dire che preferirebbe essere chiamato con la terza scelta e giocare a Los Angeles piuttosto che essere draftato con la prima assoluta e giocare altrove- ma c’è anche e, mediaticamente, soprattutto suo padre LaVar le cui reiterate dichiarazioni pubbliche paiono volte proprio a disincentivare qualunque altra franchigia (ad esempio, Phoenix) dall’accarezzare l’idea di impedire il matrimonio tra suo figlio e la franchigia della famiglia Buss (dopo una delicata e prolungata battaglia personale e legale, Jeanie Buss pare aver avuto la meglio sui fratelli Jim e Johnny nella battaglia per il controllo proprietario sulla franchigia e proprio in conseguenza della vittoria di Jeanie sono arrivati, oltre all’allontanamento del fratello Jim, il licenziamento dello storico GM Mitch Kupchak e l’ascesa di Magic Johnson a plenipotenziario delle operazioni cestistiche in casa Lakers). Insomma, questo matrimonio s’ha da fare e- presumibilmente- si farà.

LaVar Ball abbrraccia il suo reddito, pardon suo figlio Lonzo al termine di una gara di UCLA.

Free-agency: Più che pensare a chi firmare, meglio fermarsi a riflettere su chi non firmare e come non agire; per farlo, niente di più facile che guardare all’ultima free-agency targata Kupchak. Due i “colpi” della scorsa estate: Timo Mozgov, classe ’86, statisticamente declinante, fisicamente ammaccato, alla curiosa cifra di 64 milioni di dollari in quattro anni (16 l’anno) in una squadra che nel reparto lunghi già annoverava, al momento di quella firma, J. Randle, L. Nance, I. Zubac e un più che decente third-string big man come Tarik Black (una batteria di lunghi all’interno della quale quest’anno Mozgov è stato, al contempo, il giocatore meno produttivo ma di gran lunga quello più pagato); Luol Deng, classe ’85, statisticamente declinante, fisicamente logorato dai minutaggi monstre impostigli da coach Thibodeau negli anni vissuti assieme a Chicago, alla sempre curiosa cifra di 72 milioni di dollari in quattro anni (18 l’anno) per tirar giù medie di: 7.6 punti, 5.3 rim, 1.3 ass tirando col 38,7% dal campo e il 30.9% da tre in 26.5 minuti di impiego medio. Una brutta annata. Insomma, fare meglio di così non dovrebbe essere difficile per Magic e Pelinka, il problema sarà- eventualmente- provare a muovere almeno uno di questi due grossi contratti da qualche parte. Auguri.

L.Deng(9) e T.Mozgov(20) inseguono uno più forte di loro.

Final outlook: Non è solo un modo di dire ma questa estate potrebbe davvero essere fondamentale per indirizzare il futuro, non solo prossimo, ma anche a medio-lungo termine dei Lakers. Stabilizzata la questione proprietaria (Jeanie s’è mangiata i fratellini), stabilizzata la questione dirigenziale (Magic comanda, Pelinka esegue), confermato un allenatore giovane e, si presume, in gamba, saranno gli appuntamenti dei prossimi mesi a definire il futuro della più amata e, al contempo, più odiata franchigia NBA.

Luke Walton protesta, si lamenta, non si capacita.