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Vietare le idee non è la soluzione per fermare il neonazismo

Cosa ci dice la sentenza della corte costituzionale tedesca sul futuro della democrazie liberali in Europa.

La Corte Costituzionale tedesca (Bundesverfassungsgericht) è stata ieri chiamata a decidere sull’istanza di messa al bando della Nationaldemokratische Partei Deutschlands (NPD), partito di ispirazione neonazista, dall’arco costituzionale tedesco. Il giudizio si è concluso con esito negativo. Si tratta di un evento sicuramente interessante in tempi in cui la crisi economica e i flussi migratori mettono a dura prova la tenuta dei regimi democratico-liberali in tutta Europa, determinando un potente ritorno sullo scenario politico di parole d’ordine nazionaliste, xenofobe, razziste. Non solo. La decisione della corte tedesca invita riflettere sui metodi che chi ha a cuore la libertà, la democrazia e la pace in Europa deve utilizzare per far fronte alle “grandi semplificazioni” del populismo contemporaneo.

La decisione giunge a conclusione di un procedimento attivato su istanza del Bundesrat, con la quale veniva chiesto alla corte di giudicare sulla costituzionalità del partito NDP a fronte dell’art. 21, comma 2 della Legge Fondamentale tedesca. L’articolo stabilisce l’incostituzionalità di partiti il cui scopo politico consiste nel minare o eliminare l’ordine democratico-liberale e attribuisce al Bundesverfassungsgericht la competenza sull’eventuale dichiarazione di incostituzionalità. L’iniziativa del Bundesrat seguiva a una serie di omicidi a sfondo razziale messi in atto dalla cellula terroristica Nationalsozialistischer Untergrund, attiva fra il 1997 e il 2011 e al crescente sostegno guadagnato dall’NPD in aree geografiche come la Pomerania e il Mecklemburgo. Si tratta del secondo tentativo di ottenere una dichiarazione di incostituzionalità dell’NPD, dopo quello posto in essere nel 2001 su iniziativa del governo Schröder e interrottosi nel 2003 per motivi procedurali.

I motivi addotti dalla Corte contro l’ipotesi di applicazione del  divieto di associazione in partiti politici (Parteiverbot) all’NPD mirano soprattutto a operare un’equilibrata valutazione degli interessi giuridico-politici coinvolti. Il Parteiverbot è da intendersi – così la Corte – come Organisationsverbot (come divieto che si riferisce a strutture organizzative) e non può confondersi con un Gesinnungs- oder Weltanschauungsverbot (con la messa al bando di idee, convinzioni o visioni del mondo personali). La Corte, da un lato, ha ribadito l’incompatibilità dell’ideologia razzista del NPD con i principi dello stato di diritto, della dignità umana e dell’ordine democratico-liberale accolti in costituzione; dall’altra, tuttavia, non ha giudicato tali elementi ideologici come sufficienti per un accoglimento dell’istanza di censura del Bundesrat. La dichiarazione di incostituzionalità di un partito politico ex art. 21 rappresenta, infatti, uno strumento di tutela preventiva dell’ordine democratico liberale che incide sulle libertà fondamentali (libertà di espressione, di associazione) e del cui utilizzo non può farsi abuso. Condizione necessaria per la messa al bando è – questo l’elemento innovativo introdotto dai giudici – la circostanza che il partito o l’organizzazione in questione rappresenti un pericolo concreto per l’ordine democratico-liberale e non l’astratta incompatibilità costituzionale della sua piattaforma ideologica. Rilevante è perciò la capacità di organizzare consenso elettorale, di esercitare influenza sull’opinione pubblica e di perseguire effettivamente il sovvertimento dell’ordine costituito. Secondo i giudici di Karlsruhe, simili presupposti non sarebbero riscontrabili nel caso in questione: l’NPD non può considerarsi una minaccia concreta per la costituzione tedesca, essendo una forza politica debole, priva di un reale e consistente consenso elettorale e incapace di esprimere rappresentanti a livello sia federale che regionale.

Con questa decisione la giurisprudenza costituzionale tedesca opera un riallineamento al sentiero percorso dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per quanto attiene al tema delle misure restrittive della libertà di associazione in partiti politici. La Corte di Strasburgo, infatti, ha stabilito per i casi di legittima dichiarazione di illegalità di partiti o organizzazioni politiche criteri molto più stringenti rispetto a quelli elaborati e adottati fino ad oggi dal Bundesverfassungsgericht. Un ricorso alla Corte Europea da parte dell’NPD contro un’eventuale dichiarazione di incostituzionalità avrebbe avuto molto probabilmente esito positivo. Non è da escludere che sulla decisione della corte tedesca abbia inciso la valutazione dell’opportunità di evitare all’NPD di cumulare a un probabile successo giuridico davanti alla Corte di Strasburgo un plusvalore politico da spendere sul piano della propaganda politica anti-sistema. La decisione determina un’evoluzione parziale dell’orientamento giurisprudenziale dell corte costituzionale tedesca. Dalla nascita della Bundesrepublik si sono avuti solo due casi di Parteiverbot. Nel 1952 veniva messo al bando la Sozialistische Reichspartei Deutschlands, il partito che ricostituiva l’NSDAP guidato da Hitler. Stessa sorte ha incontrato nel 1956 la Kommunistische Partei Deutschlands, fondata nel 1918 da Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. Nel caso del KPD si specificava – anticipando gli elementi salienti della decisione di ieri – che il divieto non poteva riguardare il diritto di sostenere il marxismo-leninismo come dottrina, ma i fini e le pratiche politiche sovversive dell’ordine costituzionale accolti dall’organizzazione. Necessaria era la constatazione di un attitudine apertamente violenta e aggressiva dell’organizzazione, nel contesto della concreta pianificazione del superamento dell’ordine costituito. La decisione di ieri implica una rielaborazione di simile requisito, introducendo un elemento quantitativo nella valutazione dell’effettiva capacità dell’organizzazione politica di realizzare i suoi scopi. Per questi motivi, a partire da questa sentenza, ci sarebbe da attendersi la revoca del bando della KPD, l’unico partito comunista ad essere stato dichiarato incostituzionale nelle democrazie occidentali dal dopoguerra ad oggi.

Le reazioni sollevate dalla decisione sui media tedeschi sono state contrastanti. Sulle pagine della Süddeutsche Zeitung Heribert Prantl sottolinea che la messa la bando dell’NPD avrebbe rappresentato un gesto simbolico e politico opportuno da parte del custode della costituzione contro il montante populismo di estrema destra sul territorio tedesco. La decisione della Corte è interpretata, invece, come un arretramento del sistema democratico davanti a ideologie razziste simili a quelle impostesi in Germania fra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30 del secolo scorso. Il pericolo è quello di operare una normalizzazione degli argomenti e della retorica xenofoba di cui si avvale non solo la piccola NDP, ma anche la politicamente più rilevante Alternative für Deutschland (AfD). Di diverso tenore è il commento di Tilman Steffen su Zeit On Line. La decisione della Corte giunge opportuna, non potendosi conseguire tramite la coercizione risultati di natura culturale e pertanto suscettibili di essere perseguiti con successo soltanto mediante l’adozione di misure politiche volte a promuovere i principi democratici della società aperta. D’altra parte – aggiunge Steffen – una decisione in senso positivo avrebbe determinato lo slittamento nella clandestinità dei militanti dell’NPD, rendendone più difficilmente controllabili le attività politiche e propagandistiche. Anche la Frankfurter Allgemeine Zeitung, attraverso un commento di Reinhard Müller, giudica “saggia e coraggiosa” la decisione della Corte. La libertà di espressione e di opinione rappresentano gli elementi costitutivi dell’ordinamento politico-costituzionale tedesco, pertanto la protezione di tale ordinamento non può realizzarsi mediante la soppressione del diritto di esprimere opinioni politiche, anche se estreme e potenzialmente in contraddizione con i principi costituzionali.

Rimangono alcuni punti oscuri nel ragionamento dei giudici. La corte costituzionale ha adottato un definizione quantitativa per la definizione del limite oltre il quale un’organizzazione possa essere considerata come un pericolo effettivo e concreto per l’ordine costituzionale e, quindi, suscettibile di essere sottoposta al Parteiverbot. I valori espressi dalla piattaforma ideologica dell’NPD sono definiti dalla corte verfassungsfeindlich, ossia “ostili” a quelli della democrazia pluralistica, dello stato di diritto e della dignità umana. Simile considerazione qualitativa non può fondare, tuttavia, la definizione dell’organizzazione politica come verfassungswidrig, ossia come incostituzionale. Per tale giudizio è necessario un elemento quantitativo relativo all’effettivo perseguimento di scopi sovversivi e alla capacità dell’organizzazione politica di costituire una reale minaccia per la costituzione. Resta da decidere quando e in quali circostanze si possa ritenere che un simile requisito quantitativo sia effettivamente presente.

Più interessanti sono gli spunti teorico-politici emergenti dalla sentenza. La disgiunzione fra Verfassungsfeindlichkeit (ostilità ai valori e ai principi della costituzione) e Verfassungswidrigkeit (illegittimità costituzionale) rappresenta il confine su cui si gioca il sempre incerto destino dell’ordine democratico-liberale. Essa esprime lo sforzo di tenere il pólemos nei confini della politéia, ossia di integrare nell’ordine del discorso pluralistico anche quelle forze che si mantengono in un rapporto di ostilità radicale con la costituzione e i suoi valori, nella convinzione che il rapporto politico non si definisce a partire dal rapporto di inimicizia assoluta, ma muovendo dal problema delle regole e dei principi che costituiscono l’agonismo politico. Il rifiuto dell’identificazione immediata di “politico” e “polemico” esprime, inoltre, la consapevolezza dei limiti del potere in un ordine pluralistico. Lo stato democratico costituzionale vive della sostanza della società civile e della cultura politica che essa è capace di produrre. Ciò che è condizionato non può produrre le proprie condizioni di possibilità. Nessuna misura autoritativa può sostituirsi ai compiti che la società e le sue organizzazioni hanno di produrre l’humus del pluralismo. Le condizioni che rendono il pluralismo possibile rappresentano un processo da tenere attivo, non un semplice stato di cose raggiunto una volta per tutte.

È probabile che il problema del rapporto fra ordinamento costituzionale democratico-liberale e organizzazioni politiche miranti al superamento del pluralismo politico e sociale mediante l’adozione di soluzioni plebiscitarie o comunque autoritarie non si lasci risolvere con semplici formule, rappresentando esso una delle declinazioni più concrete di quello che l’ex membro della Corte Costituzionale tedesca, nonché illustre filosofo del diritto, Ernst-Wolfgang Böckenförde ha definito il dilemma strutturale della politica nell’epoca della secolarizzazione compiuta:

«Lo stato liberale secolarizzato si fonda su presupposti che esso stesso non è in grado di garantire. Questo è il grande rischio che si è assunto per amore della libertà. Da una parte, esso può esistere come stato liberale solo se la libertà che garantisce ai suoi cittadini è disciplinata dall’interno, vale a dire a partire dalla sostanza morale del singolo individuo e dall’omogeneità della società. D’altro canto, se lo Stato cerca di garantire da sé queste forze regolatrici interne attraverso i mezzi della  coercizione giuridica e del comando autoritativo, esso rinuncia alla propria liberalità e ricade – su un piano secolarizzato – in quella stessa istanza di totalità da cui si era tolto con le guerre civili confessionali».

Si tratta, qui, del dilemma in cui cui sono presi il liberalismo politico e la democrazia pluralista. Essi istituzionalizzano un approccio dialogico e comunicativo per la soluzione dei problemi politici e implicano la più ampia apertura alla partecipazione civile. Il principio pluralistico che fa da sfondo ai sistemi democratico-liberali è pertanto refrattario a ogni chiusura discorsiva. L’ordine democratico-liberale si vede, però, fondato su un’aporia strutturale e si trova esposto a una dinamica rischiosa. Esso presuppone la previa adesione degli attori politici al principio pluralistico e non può reagire a ciò che internamente lo minaccia adottando la grammatica dell’esclusione, senza che ciò lo conduca a negare se stesso. La decisione della corte costituzionale tedesca conferma che la condizione di omogeneità politico-culturale che sola rende possibile la vita democratica non può essere realizzata con la coercizione o con la limitazione delle stesse libertà politiche, pena la ricaduta nelle “istanze di totalità” di cui parlava Böckenförde. Si rivela perciò determinante la capacità della società civile di produrre, a partire da se stessa, gli anticorpi contro la diffusione del discorso dell’esclusione, sempre più presente nel dibattito pubblico e sugli scenari politici delle società europee. Questo può avvenire soltanto favorendo l’associazione libera, la cooperazione volontaria, valorizzando gli spazi di partecipazione e promuovendo discorsi di verità e di responsabilità. Pensare che il problema possa essere combattuto e risolto attraverso pratiche di immunizzazione sovrana, tramite l’apparato coercitivo dello stato e i divieti delle corti, significa essere già inconsapevolmente in cammino verso la fine delle libertà e della democrazia in Europa.

Sotto il profilo politico è decisivo che i partiti che hanno storicamente guidato gli stati europei in un cammino di pace e democrazia durato più di sessant’anni non cedano alla tentazione di rispondere al populismo, al nazionalismo e alla demagogia replicandone – consapevolmente o meno – i metodi, la retorica, i fini. Sebbene una simile strategia sia oggi frutto di schietta teorizzazione e sia capace di affascinare le elite progressiste, c’è da dubitare degli esiti promessi. Già nel 1923 uno dei massimi fondatori della scienza politica italiana, Gaetano Mosca, aveva individuato perfettamente il problema, tanto da scrivere nei suoi Elementi di scienza politica parole che servono da monito per l’epoca presente:

«Accade poi spesso che i partiti ai danni dei quali si rivolge la propaganda demagogica per combatterla usino mezzi assai analoghi a quelli dei loro avversari. Anche essi perciò fanno promesse impossibili a mantenere, adulano le masse, ne lusingano gli istinti più rozzi e sfruttano e fomentano tutti i loro pregiudizi e tutte le loro cupidigie, quando stimano di poterne trarre vantaggio. Ignobile gara, nella quale coloro che ingannano volontariamente abbassano il loro livello intellettuale fino a renderlo uguale a quello degli ingannati, e moralmente scendono ancora più in basso».

Queste parole di un lucido testimone della crisi e del crollo della democrazia liberale nel secolo scorso ci avvertono che la sfida per la democrazia europea consiste non tanto nel non cedere all’inganno, quanto nel non cedere alla tentazione di ingannare.