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23 maggio 1992: il racconto di una strage

Il 23 maggio 1992, ore 17:56:32, sull’autostrada che collega l’aeroporto di Punta Raisi a Palermo, all’altezza dello svincolo di Capaci, 572 kg di esplosivo prendono le vite del Giudice Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e di tre uomini della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro: è la Strage di Capaci.

L’uccisione del Giudice Falcone venne decisa nel corso di alcune riunioni della cupola di Cosa Nostra, tra il settembre e il dicembre del 1991, presiedute dal boss Salvatore Riina. Quella che è passata alla storia come la stagione delle stragi ebbe inizio  all’indomani del 30 gennaio 1992, giorno in cui la Corte di Cassazione confermò gli ergastoli del Maxiprocesso a Cosa Nostra. Emessa la condanna a morte, il boss dei boss, Salvatore Riina, inviò a Roma un gruppo di fuoco -composto da Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro, Vincenzo Sinacori, Lorenzo Tinnirello, Cristofaro Cannella e Francesco Geraci– che avrebbe dovuto  uccidere colui che quel Maxiprocesso lo volle e lo condusse: il Giudice Giovanni Falcone. Ma si sa, la mafia parla attraverso gesti e segnali e ad un “torto” come quello del maxiprocesso, non poteva rispondersi con qualche colpo di Kalashnikov. Il Giudice, doveva morire in Sicilia e la sua vita doveva essere spezzata da una bomba. Un’azione forte insomma, che non solo avrebbe “risolto il problema Falcone” ma che sarebbe stata anche di esempio per tutti coloro che, come Falcone, interferivano con i piani di Cosa Nostra. Tra l’aprile e il maggio 1992, Salvatore BiondinoRaffaele Ganci e Salvatore Cancemi,  individuarono il  luogo adatto per la realizzazione dell’attentato: autostrada A29, allo svincolo di Capaci, a pochi km dal Capoluogo siciliano. Nello stesso periodo ebbero luogo riunioni organizzative durante le quali si decisero le modalità di esecuzione dell’attentato. Il giorno era da stabilirsi, considerato che il Giudice Falcone era pendolare tra Roma e Palermo. L’8 maggio, Brusca, La Barbera, Gioè, Troia e Rampulla sistemarono tredici bidoni, caricati con circa 500 kg di esplosivo,  in un cunicolo di drenaggio sotto l’autostrada A29, nel tratto dello svincolo di Capaci. Il 23 maggio, le Fiat Croma del Giudice Falcone, partirono dalla sua residenza e si diressero verso l’aeroporto di Punta Raisi. Domenico Ganci avvertì Ferrante e La Barbera della partenza delle Croma e Ferrante e Biondo, confermarono la presenza del Giudice Falcone in una di queste, una volta uscite dall’aeroporto. Era arrivato il momento. Giovanni Brusca, appostato sulle colline adiacenti al tratto autostradale, attese l’arrivo delle vetture e al passaggio sul cunicolo imbottito di esplosivo, attivò il telecomando che causò l’esplosione. La prima blindata del corteo venne investita in pieno dall’esplosione. Gli agenti Antonio MontinaroVito Schifani e Rocco Dicillo, morirono sul colpo. La seconda auto, la Croma bianca guidata da Falcone, si schiantò contro il muro di cemento e i detriti improvvisamente innalzatisi per via dello scoppio. Rimasero gravemente feriti invece altri quattro componenti del gruppo al seguito del Giudice: l’autista giudiziario Giuseppe Costanza e gli agenti Paolo Capuzza, Gaspare Cervello e Angelo Corbo, che sedevano nella terza blindata del corteo. Giovanni Brusca, oggi collaboratore di giustizia, ha dichiarato

Ho ucciso Giovanni Falcone. Ma non era la prima volta: avevo già adoperato l’auto bomba per uccidere il giudice Rocco Chinnici e gli uomini della sua scorta. Sono responsabile del sequestro e della morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, che aveva tredici anni quando fu rapito e quindici quando fu ammazzato. Ho commesso e ordinato personalmente oltre centocinquanta delitti. Ancora oggi non riesco a ricordare tutti, uno per uno, i nomi di quelli che ho ucciso. Molti più di cento, di sicuro meno di duecento”.

Oggi, 25 anni dopo le stragi, il Csm(Consiglio Superiore Della Magistratura) celebra la memoria del Giudice eroe togliendo il segreto dai suoi atti.