Segnala a Zazoom - Blog Directory

Eutanasia, medici ed infermieri la vogliono. Ecco perché

Un morso.
Fabo ha stretto con i denti l’ultimo pezzo di vita. Aveva un sapore dolce.
In Svizzera è così che te ne vai: mordi un pulsante che attiva l’iniezione letale.
Si chiama suicidio assistito, perchè hai bisogno che qualcuno si occupi del tuo ricovero e ti prepari la “cicuta”, ma non c’è nessun discepolo a porti il calice come nel dipinto di David.
L’atto è autonomo e volontario, senza l’aiuto di terzi, nonostante dei psicologi provino a farti desistere dalle tue intenzioni fino alla fine.
È legale oltre al suicidio assistito, anche l’eutanasia attiva, con la quale è il medico a somministrare il farmaco letale, in tre solamente fra i Paesi europei, quali il Lussemburgo, i Paesi Bassi e il Belgio. Negli ultimi due è permesso praticarla anche per i minorenni, ma fino ad oggi solo il Belgio ha visto una diciassettenne malata terminale ottenere il gesto estremo.
Nel resto del continente è possibile praticare l’eutanasia passiva, ovvero, l’interruzione o la mancata attuazione dei trattamenti medici necessari alla sopravvivenza del paziente, quali la respirazione, l’alimentazione o l’idratazione artificiale.
Questo non è possibile in Italia, come in Irlanda, Polonia, Grecia e alcuni Paesi dell’Europa Orientale. Tuttavia, secondo il rapporto Italia 2016 dell’ Eurispes, è a favore dell’eutanasia il 60% della popolazione italiana, che a quanto pare includerebbe anche i professionisti del settore sanitario.
La nuova bozza del codice deontologico di IPASVI (Infermieri professionali, assistenti sanitari e vigilatrici di infanzia ), infatti, non presenta alcun articolo che obblighi a non attuare o a non partecipare ad interventi finalizzati a provocare la morte, su richiesta dell’assistito e, anzi, pone la concezione di qualità della vita espressa dalla persona stessa come elemento sufficiente per tutelare la volontà dell’assistito di interrompere gli interventi
Un orientamento così netto del nuovo codice non semplicemente si allontanerebbe dal precedente codice omonimo e da quello di deontologica medica per il quale “Il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte.” (art.17 CD), ma, avvicinandosi ai codici degli altri Paesi europei, costituirebbe ulteriore impulso nel legiferare sul tema del fine vita.
Alla Camera si contano quattro progetti di legge che menzionano esplicitamente il tema dell’eutanasia, di cui uno fermo in prima lettura dal 3 marzo dell’anno scorso, dopo essere stato depositato nel 2013 e che rischia di non essere mai discusso, perchè essendo su iniziativa popolare potrebbe decadere dopo due legislature.

Il prossimo 13 marzo, tuttavia, come stabilito al termine della Convocazione del 2 marzo della Commissione Affari Sociali, dopo l’ennesimo rinvio, si prospetta la discussione in Parlamento del Testo Unificato Lenzi.

Si tratta di una proposta di legge che disciplina sul consenso informato, sulle volontà di minore e di incapace e sulle disposizioni anticipate di trattamento, o più comunemente “testamento biologico”, che include il consenso o il rifiuto rispetto a scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari ivi comprese le pratiche di nutrizione ed idratazione artificiali; si tratterebbe, quindi, della possibilità di ricorrere all’eutanasia passiva, attualmente perseguibile per il codice penale italiano come omicidio del consenziente, che prevede una reclusione dai sei ai quindici anni (art.579 cp).
Sebbene il codice deontologico dei medici, a differenza di quello degli infermieri, non sembra aver fatto passi in avanti sul tema in questione, i medici italiani non possono permettersi di essere semplici spettatori di una fase così delicata, tant’è che hanno sottoscritto una “Carta di medici per il Testamento biologico”, che esprime tre principali criticità al Testo.
Il segretario dell’associazione Luca Coscioni , Filomena Gallo, pur mostrando ottimismo per questo primo passo, non nasconde i dubbi spiegando che

“Il rischio è che con un testo vago i pazienti si vedano costretti a rivolgersi ai tribunali per fare valere i propri diritti. E se fino ad oggi sono stati i giudici a colmare un vuoto legislativo, come accaduto per esempio con Walter Piludu, la nuova legge servirebbe proprio per cambiare questa situazione, e rendere automatico il riconoscimento del diritto all’ autodeterminazione del paziente”.

Piludu, malato di SLA, già Presidente della provincia di Cagliari, ha ottenuto a novembre scorso la sospensione di ogni trattamento sanitario grazie ad una sentenza del Tribunale di Cagliari, secondo la quale la responsabilità di garantire una fine dignitosa, “accompagnando e accudendo il malato”, è in capo al Servizio Sanitario Nazionale; si è trattato di una sentenza di portata storica, considerando il passo in avanti lungo dieci anni rispetto alla pronuncia di proscioglimento di Mario Riccio, l’anestesista che staccò il respiratore a Piergiorgio Welby e rispetto all’autorizzazione all’interruzione dell’alimentazione artificiale nei confronti di Eluana Englaro.

L’ultimo ad iscriversi pubblicamente nel registro degli indagati per “aiuto al suicidio”, rischiando da 5 a 12 anni di reclusione(art. 580 cp), è il radicale Marco Cappato, tesoriere della Coscioni, che si è autodenunciato, dopo aver accompagnato Fabiano Antoniani, cieco e tetraplegico dal 2014, nella clinica svizzera della Dignitas, un’associazione che si occupa di suicidio assistito dal 1998, e ha dichiarato di voler continuare la sua battaglia dando aiuto ad altre due persone che hanno già ottenuto il via libera per recarsi in Svizzera.
Storia parallela quella di Gail O’ Rorke, la prima ad essere processata per aver aiutato in Irlanda nel 2011 una persona a suicidarsi, la sua migliore amica Bernadette. Dopo che la polizia, allertata da un agente di viaggio, aveva costretto Gail e Bernadette ad annullare il trasferimento in una clinica della Dignitas, le due amiche avevano ordinato on-line una dose letale di farmaci, che Bernadette ha assunto a casa in assenza di Gail, elemento che ha contribuito ad assolverla per mancanza di prove.
Secondo Exit-Italia, associazione promuovente il diritto all’eutanasia che fornisce informazioni sull’attività svolta da Dignitas, nell’ultimo anno e mezzo sono 45 gli italiani partiti per il paese elvetico senza fare ritorno.
La Exit dal 2012 ha visto la costituzione di Exit-Svizzera Italiana, un’associazione a Berna che si occupa direttamente di assistere tutti i cittadini con malattie gravi ed irreversibili per garantire le cure palliative ed assisterli alla Morte Volontaria Assistita e dal 2014 quella di LL-Exit, succursale nel Canton Ticino aperta nel marzo del 2016, dove da allora 35 italiani hanno ottenuto il suicidio assistito.
Considerando che l’intera procedura si aggira sui 10 mila euro per singolo assistito sorge spontaneo il sospetto di un business, sciolto in parte dal fatto che circa il 40% delle richieste annue provenienti dall’Italia viene rigettato dopo le visite mediche, soprattutto quelle psichiatriche.
Infatti in Europa solo nei Paesi Bassi e in Belgio può essere accolta la richiesta «volontaria e ben ponderata» di procedere all’eutanasia da parte di qualcuno che soffre «in modo insopportabile» di disturbi mentali incurabili.

In Italia, secondo l’ISTAT, tra il 2011 e il 2013 si sono registrati 1664 casi di suicidio per malattie mentali e 737 per malattie fisiche rilevanti, andando incontro a sofferenze che nella grande maggioranza dei Paesi europei sarebbero state evitate.
Legalizzare l’eutanasia in Italia, al di là di qualsiasi discorso etico, sarebbe, in conclusione, in virtù del favore della maggior parte della popolazione italiana, delle pressioni del mondo dell’assistenza sanitaria e di un’ apertura, seppure timida, da parte della Curia che ha accettato di commemorare in chiesa Fabiano Antoniani, un atto dovuto per chi, soffrendo di una malattia inguaribile che costringe ad una condizione di vita non considerata più dignitosa, ricorre al turismo eutanasico o lo desidera, ma non ha i mezzi economici o il supporto di una persona disposta a sfidare la legge; per chi, invece, confida nella giustizia, ma non ascolterà mai una sentenza che conceda la libertà di lasciarsi morire; per chi non trova altra scelta che avvelenarsi, lanciarsi dal quinto piano di un ospedale o da una sedia di un appartamento senza mai toccare terra, per chi non ha più l’autonomia di farlo e spera ogni giorno che sia l’ultimo.