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I due volti del diritto nell’Antigone di Sofocle: Diritto Positivo e Diritto Naturale

  L’eterno conflitto tra Diritto e Libertà tra Giusto ed Ingiusto e le risposte ancora non date.

 

Luigi Pezzella

« A proclamarmi questo non fu Zeus, né la compagna degl’Inferi, Dike, fissò mai leggi simili fra gli uomini. Né davo tanta forza ai tuoi decreti, che un mortale potesse trasgredire leggi non scritte, e innate, degli dèi. Non sono d’oggi, non di ieri, vivono sempre, nessuno sa quando comparvero né di dove. »

(Antigone, vv. 450-457)

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Quando ci si immerge nelle letture del mondo classico, lo sguardo deve essere sempre molto critico e mai pronto ad associare ciò che si sta leggendo ad una contemporaneità. Naturalmente gli elementi di discussione presenti nel mondo classico sono tanti e non è un caso se uno dei temi più delicati lo si introdurrà solo grazie alla lettura del mito di Antigone rappresentato dal drammaturgo greco Sofocle nel 442 a.C. Il tema che proposto è strettamente legato al conflitto tra Diritto e Libertà e quindi tra il Diritto Positivo, quindi ciò che viene posto dallo Stato mediante norme capaci di disciplinare la vita di un’intera società e il Diritto Naturale, semplicemente ciò che vorremo che il diritto fosse per noi. Tema che merita una profonda ed attenta discussione a seguito anche degli ultimi episodi che hanno visto impegnati studiosi ed esperti di filosofia del diritto e di Bioetica nel corso degli anni. Potremmo partire dal caso della giovane Eluana Englaro, passando per il caso di Piergiorgio Welby, fino a giungere al recentissimo caso del piccolo Charlie di 10 mesi, affetto da una rara malattia genetica degenerativa. Ritornando al tema, Per chi non conoscesse il mito di Antigone – in breve – il dramma si svolge nella città di Tebe, appena liberata dall’attacco dei sette principi argivi che ha visto la morte dei due figli di Edipo, Eteocle e Polinice e ha visto l’investitura di Creonte come nuovo re. Egli, una volta divenuto il nuovo Re di Tebe, decretò che il corpo morto di Polinice (traditore dello Stato), a differenza di quello di Eteocle – morto in difesa della propria terra – dovrà essere lasciato in pasto agli uccelli e ai cani, e che chiunque si opporrà a tale decisione verrà punito con la morte. Antigone, sorella di Polinice – decidendo di andare contro la legge imposta del nuovo re – si impegnò assieme alla sorella Ismene di dare degna sepoltura al fratello ormai morto. A seguito di ciò, Creonte venne avvisato da una delle sue guardie di questo oltraggio verso la legge/decreto (Dike) e verso la sua autorità, così, preso dall’ira ordinò che le due donne venissero condannate a morte, nonostante la stessa Antigone fosse una sua nipote, così come lo stesso Polinice. Infatti questo gesto provocherà nel cuore del popolo e nel cuore della stessa Antigone una sorta di agitazione, poiché al di là di ogni legge imposta si sta comunque compiendo un’azione contro una consanguinea. A questo punto, grazie ai lamenti del coro – che nel mondo greco raffigura il popolo – e della stessa Antigone, senza dimenticare il contributo offerto da Tiresia, indovino cieco, che convincerà Creonte a cambiare rotta poiché sosterrà che la città si sente impura nel momento in cui Polinice non meritò una degna sepoltura, il re ordinò la liberazione di Antigone e la sepoltura al corpo di Polinice. Purtroppo, tale decisione arriverà troppo tardi poiché il re venne informato da un messaggero che Antigone si era impiccata poiché il passare il resto della sua vita imprigionata fu troppo atroce per lei. Udì infatti il lamento del figlio Emone, che preso da quel Pathos – tipico del mondo classico – rivolse l’arma contro sé stesso, uccidendosi perché il padre non volle ascoltarlo. Il Re, ormai preso da sgomento prese il corpo del figlio morto e nonostante il dolore venne a sapere da un secondo messaggero, che anche sua Moglie Euridice si era appena tolta la vita. Il re, ormai preso da una rovina certa, non poté fare altro che invocare anche per sé la morte. Dopo questa breve ma necessaria sintesi, entriamo nel merito della questione. Al di là che la figura di Antigone e la contrapposizione con la figura di Creonte può essere letta su vari piani e quindi vi è la possibilità di offrire un bel numero di interpretazioni, c’è da dire che in queste due figure ritroviamo – così come già abbiamo anticipato – il conflitto tra Diritto Positivo, che si rispecchia nella figura di Creonte, e Diritto Naturale “divino” che si rispecchia invece nella figura di Antigone. Quindi ritroviamo quelli che possono essere definiti come i due volti del diritto, causa di conflitti e interpretazioni che ancora oggi sono all’ordine del giorno. Quel conflitto che oggi ricade nel binomio Diritto-Libertà., tra leggi imposte dal sovrano e quelle invece che provengono da un’autorità superiore, seppur non scritte (come in questo caso), ma insite negli uomini già dal principio. Potremmo dire che la figura di Antigone rappresenta la voce della coscienza, quindi la voce della moralità che dovrebbe andare contro quel diritto imposto dall’autorità dello Stato. Infatti, nonostante il divieto da parte di Creonte di non seppellire Polinice, Antigone decide di andare contro ad una legge dello Stato, perché nonostante tutto quel divieto contrastava un proprio diritto morale, quindi il fatto di essere “libera di…” viene soppresso da quella stessa legge che dovrebbe garantire comunque una libertà ai singoli individui. Si potrebbe intendere il gesto di Antigone come un abuso della sua libertà? – In realtà ciò potrebbe essere preso per vero solo ella avesse ostacolato un’altra libertà, cosa che in realtà non è accaduto. Poiché ella non stava facendo altro che dare degna sepoltura a suo fratello, nulla di così pericoloso per l’intero popolo, basti leggere infatti come il popolo stesso – che trova forma del coro – sia favorevole a tale gesto ed implora il suo re affinché un atto di potere dispotico non prenda il sopravvento nella polis stessa. Infatti, il punto di forza del ragionamento tenuto da Antigone è centrato proprio sul fatto che un decreto umano non può assolutamente restare indifferente dinanzi ad una legge divina – seppur come abbiamo detto prima, non risulti essere scritta – poiché sembra quasi che Creonte, difensore di quelle leggi istituite per e nella polis greca, si stia collocando al di sopra dell’umano e del divino stesso, assumendo le sembianze di un tiranno autoritario. In realtà, sia Creonte sia Antigone non stanno facendo altro che confermare come dietro quelle loro azioni c’è una propria idea di “cosa sia giusto fare…” –, infatti le parole di Antigone sono molto chiare quando nei versetti 560-569 recita: «Giove certo non fu, chi me le impose, né la Giustizia agl’Inferi compagna codeste leggi fissò mai fra gli uomini. Io non pensai che tanta forza avessero gli ordini tuoi, da rendere un mortale capace di varcare i sacri limiti delle leggi non scritte e non mutabili. Non son d’ieri né d’oggi, ma da sempre vivono: e quando diedero di sé rivelazione è ignoto.»; così come sono molto chiare anche quelle di Creonte, quando nei versi recita nei versetti: «Ho fatto gridare ai cittadini un ordine sui figli d’Edipo, che ben s’accoppia alle regole che ho detto. Eteocle s’è battuto per la sua comunità, e cadde. Eroe, con la lancia. Va avvolto di terra. Gli toccano chiare bevande, che filtrano giù, agli altissimi morti. L’altro – identico sangue, di Polinice, parlo – era reduce esule, ebbe slancio d’incenerire alle radici terra madre, Potenze della stirpe. Si slanciò goloso su sangue uguale, volle la sua gente serva. Per quest’uomo echeggia in Tebe la proibizione: non chiuderlo in fossa, niente ululi a lutto, relitto senza fossa, carne offerta cruda a uccelli, e cani. Vista oscena. Ecco il mio principio: nessun vantaggio di favore, mai, da me, dei pessimi sui retti cittadini. Chi darà tutto per questa città nostra, caduto o vivo, senza distinzione, avrà da me sicuro premio». Si percepisce però come in entrambi i personaggi, nonostante la supremazia della legge imposta da Creonte “in quanto autorità” e quella della legge morale presente in ognuno di noi così come in Antigone – che dovrebbe indicarci cosa sia realmente giusto fare –, vi sia una visione univoca e unilaterale della polis stessa. Quindi il binomio tra essere-dover essere, che nella filosofia di Hume, Kant e Kelsen troverà un largo margine di discussione, ancora una volta sembra ostacolare la vera funzione e natura del diritto, e il pericolo che il diritto stesso si trasformi in puro desiderio non è da sottovalutare. Nell’eterno conflitto, tra “essere in diritto di…” ed “essere libero di…” un vero vincitore sembra non esserci. A questo punto il quesito a cui trovare una risposta è il ancora seguente: Come legittimare una legge positiva, introdotta da uno Stato di diritto, anche se questa va a contrastare la mia idea di libertà e di giustizia? –  Una domanda a cui non è facile trovare ancora una risposta, poiché uno Stato di diritto   dovrebbe garantire ogni singola libertà ma allo stesso tempo frenarla affinché non corra il rischio prevalere su tutto e tutti, e in “alcuni aspetti” delimitarla porterebbe il rischio di tumulti ed episodi di totalitarismo. Nonostante in uno Stato di diritto limitare non significa assolutamente ostacolare, il binomio diritto-libertà resta ancora un problema da affrontare.

 

Nella foto Luigi Pezzella, dedito allo studio della Storia del pensiero politico ed alla Filosofia del diritto