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“Mi cacciò dal suo ufficio”. Ex assessore allo sport di Chiamparino riporta a galla il segreto di Tavecchio

Giuseppe Sbriglio, avvocato ed ex assessore allo sport al comune di Torino quando il sindaco della città piemontese era Sergio Chiamparino, attacca su Facebook Carlo Tavecchio presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio.

L’avvocato ricorda un episodio legato proprio al suo ruolo da assessore allo sport nella città della Mole:

Tra il 2009 e il 2011 svolgevo il ruolo di assessore allo sport della città di Torino . La città è proprietaria di oltre 200 impianti sportivi tra cui molti campi di calcio a 11. In quel periodo molte società di calcio lamentavano costi di omologazione di oltre 4000 mila euro sui campi, con cadenza periodica . Omologazione inventata dalla lega dilettanti con allora presidente il signor Tavecchio. Mi recai a Roma per parlare con questo signore. Inizialmente, gentilmente, mi spiegò che le Omologazioni erano necessarie per la sicurezza. Io feci presente che non obbiettavo su questo punto ma trovavo anomalo che unica monopolista delle omologhe fosse una società a cui capo ci fosse un parente di una persona dentro la lega. Inoltre informai Tavecchio che mi ero portato avanti con il lavoro facendo vedere il preventivo sulle stesse omologhe da parte, non di una società concorrente ma del politecnico di Torino, per un costo pari a euro 500. Fui cacciato daĺl’ufficio da Tavecchio ottenendo però uno sconto di 1000 euro sui 4000 per le società di Torino. Questo signore è diventato presidente della nostra nazionale di calcio io sono tornato a fare l’avvocato. 

Sbriglio, in verità, non svela niente di non noto alle cronache. Già nel 2005 giravano articoli come questo: “Campi in erba sintetica grandi affari di famiglia” che cominciavano così “L’ affare del calcio che verrà ha il volto pacioso di Carlo Tavecchio”.

Articoli ritornati alla ribalta dopo la preventivata ascesa del signor Tavecchio:

Uomo di calcio, Tavecchio. Ma soprattutto d’affari. Uno che in tempi di crisi ha capito come restare con i piedi per terra, anzi nell’erba, meglio se omologata. È lì, sui manti erbosi degli stadi, che si gioca la sua carriera, lì ha coltivato gli interessi del calcio e di una stretta cerchia di manager. Tutti con un posto d’onore alla grande tavola rotonda della sua Lega. Insieme hanno srotolato in mezza Italia un enorme prato che vale mezzo miliardo di euro. A tanto ammonta il business dell’erba sintetica, pagata fior di quattrini da squadre e Comuni sepolte dai debiti. Ma gli affari sono affari, servono anche ad alimentare l’intricata rete di committenti e sponsor. In meno di 10 anni, Tavecchio ha fatto della Lnd il cuore pulsante del calcio italiano: da sola muove il 99 per cento del calcio nazionale e oltre un miliardo e 500 milioni di euro tra tesseramenti e iscrizioni ai campionati. Fu lui a intuire che soppiantando i campi in terra avrebbe portato nelle casse della Lega una montagna di soldi. I numeri gli hanno dato ragione: ogni terreno costa in media 500 mila euro, omologarlo 5 mila. Ne sono stati montati oltre mille. Tutti collaudati dalla Labosport, la sola azienda autorizzata a testarli per conto della Lnd. Un business che si tramanda di padre in figlio. Roberto Armeni, technical manager della Labosport, detiene il 40% delle azioni. Il padre, Antonio Armeni, dal 2003 e su ordine di Tavecchio, è capo supremo della Commissione impianti in erba sintetica della lega. In poche parole, Armeni senior fa il regolamento delle omologazioni, Armeni jr li testa in laboratorio. (link)

L’attacco dell’avvocato torinese ha, però, il merito di riportare al centro dell’attenzione tutti i dubbi che hanno, nel corso del tempo, caratterizzato l’ascesa nel mondo del calcio del signor Carlo Tavecchio. Che, intanto, ha portato il calcio italiano al punto più basso della sua storia riuscendo ad eguagliare il disastro del 1957 con la mancata qualificazione ai mondiali di calcio.

E non si è ancora dimesso.