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Sanremo, Maria delude e le canzoni pure

Si è conclusa la prima serata del Sanremo 2017 con la direzione artistica e la conduzione di Carlo Conti e Maria De Filippi.

La serata si è svolta, tranne rari momenti dello show, ad un ritmo scialbo e blando in cui, sia la conduzione che le canzoni sembravano soffrire di quel piattume tipico dei programmi a cui ci ha abituato la De Filippi ormai da anni sui canali Mediaset, il tutto condito da uno stato influenzale della suddetta che ha reso ancor più ostica e fastidiosa la fruibilità dell’evento da parte del pubblico televisivo.

Nonostante gli sforzi da parte di Carlo Conti, nella solita ottima forma di conduttore nazional-popolare, il tutto è apparso senza grosse emozioni, seppur ben impacchettato e confezionato.

Nel carrozzone messo in atto quest’anno si continua ad insistere sulla generazione dei talent show e sulle vecchie glorie da evergreen mentre si lasciano quasi del tutto da parte le due principali scene musicali nostrane, il rap (Marracash e Guè Pequeno, Salmo, Sfera Ebbasta, Lowlow) e l’indie “mainstemizzato” (Calcutta, Thegiornalisti, Motta, Brunori sas, Lo stato sociale…)

Insomma si continua a credere in un modo di fare televisione che non rischia niente e che perde volontariamente grosse fette di pubblico che la televisione non la guarda più e preferisce altre piattaforme (youtube, netflix) per tenersi care e strette le fasce più popolari e avanti con gli anni che si lobotomizzano con i vari format di “Maria” e le varie fiction di Rai uno, Eredità e pacchi annessi.

Ad un primo ascolto, le canzoni che mi hanno convinto di più sono state:

Fiorella Mannoia dal titolo “Che sia benedetta”, un brano sulla vita, sulla perfezione dell’esistere, a tratti toccante ed interpretato con la maestria a cui la Mannoia ci ha abituato da anni.

Altra canzone di rilievo è stata quella di Fabrizio Moro “Portami via”, un testo ben scritto, a tratti toccante, dedicato alla figlia di 3 anni ed al suo amore, grazie al quale egli è riuscito a superare la depressione. Una canzone sull’amore, ben scritta.

Mi è piaciuta molto anche “Vedrai” di Samuel (ex Subsonica), canzone dal ritornello efficace, ballabile e facilmente ricordabile ma con l’inevitabile stile elettro-pop del leader della band Torinese, che mi è sempre piaciuto.

Clementino, “Ragazzi fuori”, ha sentito l’esigenza di ripetere più o meno sempre lo stesso concetto dei ‘guagliuni/scugnizzi alla riscossa’, questa volta però quasi del tutto in italiano consacrandosi come il rapper italiano del momento. Fa bene quello che fa.

Una nota affettuosa per Al Bano “Di rose e di spine”, il nostro vocione di Cellino San Marco, ritornato perfettamente in forma dopo un infarto. Anche se ha faticato un po’ sulle note di petto, ha la mia stima, se non altro per la pellaccia.

Per dovere di cronaca hanno cantato anche: Giusy Ferreri “Fatalmente male”; Elodie “Tutta colpa mia”; Lodovica Comello “Il cielo non mi basta”; Alessio Barnabei “Nel mezzo di un applauso”; Ron “L’ottava meraviglia”; Ermal Meta “Vietato morire”.

Ospite internazionale un giovanissimo ed in formissima Ricky Martin che, con i suoi portati benissimo 45 anni,  ha cantato un medley dei suoi successi con una super band di livello, ballerine, luci stratosferiche, lancio di coriandoli ed effetti speciali

Che dire: Sanremo è sempre Sanremo ma il dubbio è sempre lo stesso: perché montare tutto questo casino per artisti che (salvando la buona pace di qualcuno) non faranno concerti, non ascolteremo più per il resto dell’anno o forse addirittura per il resto della vita?
A Maria l’ardua risposta.

Massimiliano Giliberti