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Napoli, arriva la proposta: San Gennaro Patrimonio Unesco

Napoli, arriva la proposta: San Gennaro Patrimonio dell’Unesco.

Dire Napoli è dire San Gennaro. E viceversa. È un dato imprescindibile. Il legame tra il popolo di Napoli al suo Santo Patrono è storicamente e culturalmente radicato. Non parliamo soltanto dell’innumerevole patrimonio artistico e culturale che ha reso tangibile la fede della Città partenopea al Santo martire. Ma quanto può essere definita la fonte: il culto e la devozione.

Sono le premesse che hanno condotto il 4 luglio a formalizzare la richiesta del culto e della devozione di San Gennaro a Napoli e nel mondo a Patrimonio immateriale dell’Unesco.  L’iniziativa è promossa dalla Chiesa di Napoli e in collaborazione con il Centro interdipartimentale Lupt della Federico II. 

L’evento si è svolto presso il Duomo di Napoli alla presenza del Cardinale Crescenzio Sepe, del Governatore Vincenzo De Luca e del Sindaco della Città De Magistris.

Già nel 2018 risale l’iscrizione nell’Inventario IPIC (Inventario del Patrimonio culturale Immateriale Campano). L’università Federico II motiva così la richiesta:

“L’obiettivo è quello di diffondere la conoscenza della rappresentatività della diversità e della creatività umana per permettere alla comunità, ai gruppi nonché alle singole persone di elaborare dinamicamente il senso di appartenenza sociale e culturale rappresentato dal Santo Patrono”

È un dato che trova una terminologia specifica: Intangible Cultural Heritage (ICH) secondo la definizione scaturita dall’UNESCO nel 2003 per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale. I beni culturali immateriali sono presi in considerazione dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, dopo la firma italiana, nel 2007, delle Convenzioni Unesco.
Al testo di legge è stato aggiunto l’articolo 7- bis che considera le espressioni di identità culturale collettiva.

Per patrimonio culturale immateriale” s’intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, […] che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi […]. (art. 2).

È singolare come la storia lascia segni indelebili anche in momenti drammatici. Se oggi possiamo ammirare la meravigliosa cappella dedicata al Santo nel Duomo di Napoli, perché nel lontano 1631 la deputazione firmò un vero e proprio contratto con il Santo Vescovo Gennaro:

“ferma l’eruzione del Vesuvio ed erigeremo, in tuo onore, un memorabile tempio”.

L’evento prodigioso della liquefazione del sangue attira l’attenzione del mondo intero, tutte le volte che si rinnova: il 19 settembre, nella ricorrenza della festa liturgica, il 16 dicembre, quando si ricorda il patrocinio della Città di Napoli e il primo sabato di maggio con la storica traslazione del busto e delle reliquie del santo, dal Duomo al monastero di Santa Chiara.

Anche durante il lockdown per il coronavirus, infatti, i fedeli hanno rivolto le loro preghiere al santo affinché bloccasse la diffusione del Covid, così come era già avvenuto per la peste che aveva colpito la città tra il 1526 e il 1527.

Quanto si sta mettendo in atto rappresenta un nuovo spartiacque della storia partenopea, che non riguarda solo la comunità ecclesiale. Il concetto di tutela e valorizzazione dei beni immateriali, rappresentativi dell’identità culturale e sociale di un popolo, pone in evidenza il suo Humus originario e fondativo.

Il Bene immateriale è uno scrigno ricolmo di tesori in procinto di apertura. Anche in questo caso Napoli, con la sua forza e la sua creatività, è pioniea di resilienza, trasformando la fragilità in opportunità proficua.

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