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Sorrentino, The Young Pope, “Nel mio Vaticano uomini comuni”

“The Young Pope” è una produzione a tre, oltre a Sky ci sono HBO e Canal+, budget 40 milioni di euro, e nel cast ci sono inoltre Diane Keaton, Scott Shepherd, Cecile de France, Javier Camara, Ludivine Sagnier. Produttori esecutivi la Wildside con Hat e Court Tv e MediaPro. L’anteprima, con successiva conferenza stampa di produttori, regista e parte del cast, Law in testa, c’è stata oggi al Cinema Moderno – The Space di Roma. Una serie tv per raccontare la storia di Lenny Belardo, alias Pio XIII, il primo Pontefice statunitense della storia. La serie è stata già presentata come evento speciale alla 73esima Mostra del cinema di Venezia e venduta in oltre 80 Paesi che diventano 110 – dal Madagascar agli Usa – se sommati ai territori già coperti dai broadcaster co-produttori.

Ma il numero di 110 è destinato a salire, sono infatti numerose le trattative in corso. “L’idea era talmente originale che ci ha convinti subito – ha detto Andrea Scrosati, vice president Sky responsabile di tutti i contenuti non sportivi -, vogliamo che sia qualcosa di nuovo in termini di tv, linguaggio, strutture produttive”, e il budget per quanto per lo più internazionale (80%) è stato impiegato tutto in Italia. Scrosati ha parlato di ‘rinascimento’ tv, “c’è un sistema produttivo che permette a un talento (in questo caso il riferimento era a Sorrentino) di esprimersi qui, e questo ha un impatto non solo di contenuti del prodotto ma anche in termini industriali. Questo progetto ne è l’esempio più eloquente. Sappiamo bene che la figura del Papa va oltre il significato religioso, è una figura che impatta su qualunque italiano, abituandolo a conviverci costantemente. E sarebbe stato difficile trovare qualcuno di diverso da un un italiano per raccontare questo progetto”. Scrosati ha detto di prodotti “dove l’elemento del rischio è molto alto perchè complessi” e però ci si impegna ad andare fino in fondo nel ruolo e capire che “c’è una straordinaria opportunità. E’ un’alchimia formidabile”.

Per il regista Sorrentino questo è stato “un lavoro monumentale nella mia produzione, tre anni, e un grazie grandissimo va a Sky. Cast splendido, tutti su un piano umano particolarmente straordinario, e questo è stato un motore fondamentale per andare avanti” nei 7 mesi di riprese. Il passaggio dal film al racconto per fiction costituisce “una meravigliosa opportunità che consente di fare un cinema d’autore poderoso, lungo, di spostare questa ambizione sulla tv. Due le condizioni necessarie: libertà creativa e disponibilità economica importante. Questa serie ha avuto tutti i soldi necessari”.

Il regista – un po’ risentito quando una giornalista ha parlato di packaging ed ha replicato “spero di non aver speso i 40 milioni per questo, sarebbe tremendo…” – ha sostenuto che in questo Paese “il clero è stato sempre rappresentato nella sua infallibilità o malvagità, invece l’idea è stata di raccontarlo per quello che è, fatto di esseri umani. Pensiamo che questo non sia mai stato fatto davvero. La serie non ha luoghi comuni, è difficile stabilire luoghi comuni sulla Chiesa“.

L’Italia – ha aggiunto Sorrentino – ha tradizioni storiche che possono essere di interesse anche fuori confine, “il problema era sbloccarle, si è ripristinata una “sana dialettica tra produzione e autori, un equilibrio e senza ruoli arroganti dall’una e dall’altra parte: gli autori la finiscono di dire che sanno solo loro, i produttori la finiscono di dire come funziona il mercato. Ci si ascolta…”. E su come procede la serie dopo le prime due puntate, “so come va a finire, e quindi certe provocazioni sono poi ribaltate. Non c’è una provocazione tout court. Il Papa coltiva la strategia del rendersi misterioso nella convinzione che possa essere un successo, e molto si gioca su questa scommessa”.

“La prima cosa che ho fatto è stata cercare di capire la storia del Vaticano, gli effetti che i vari Pontefici hanno avuto sulla Chiesa”, le parole di Jude Law, che non ha nascosto di aver provato “panico” come reazione iniziale, “poi la consapevolezza di riuscire a capire come doveva essere questo Papa creato da Sorrentino. Sono tornato alla sceneggiatura proprio per costruire un uomo che fosse credibile, che a 47 anni potesse diventare Papa”. Quindi studio profondo del personaggio, “di come giocare la partita di lasciare tutti ad interessarsi del personaggio, per arrivare poi alla rivelazione finale”. Ha dovuto imparare ad assumere la postura classica di un Papa: mani conserte o dietro la schiena, “ed ho capito il perchè: non sanno dove metterle…Ho lavorato sui gesti per dare maggiore potenza al significato del gesto stesso”.

Law ha parlato di ottimo rapporto con il regista, “siamo stati estremamente fortunati, siamo tutti appassionati ammiratori di Paolo, sceneggiatura chiarissima, visione netta”. Odio-amore tra un attore e un regista? “Sin dall’inzio c’è stata armonia, la perfetta visione è stata fondamentale”. Nel suo personaggio c’è “un amalgama di contraddizioni. Il percorso di Lenny è quello del cambiamento”. E alla domanda se questo personaggio gli abbia comportato tormenti legati alla sua fede, l’attore inglese ha risposto “ho già i miei tormenti personali…però in questa esperienza ho aperto gli occhi sul mio rapporto con la fede. E’ stato un cammino interessante, la fede fa parte di tutta quest’opera. E questo mi ha colpito molto, questo percorso mi ha portato in profondità a interrogarmi pensando alla fede come a qualcosa che cambia o che è rigida”. (AGI)