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Wimbledon 2017: Federer trionfa ai Championships, per l’ottava volta!

Federer e l'ottava meraviglia.

King Roger conquista il 19esimo torneo dello slam nel “giardino di casa”, dopo aver superato in finale lo sfortunato Marin Cilic con il punteggio di 6-3 6-1 6-4.

Non ci sono più parole per descrivere il fenomeno Federer. Quante ne sono state spese per incensarne le qualità, esaltarne le doti, eppure si ha sempre la sensazione che non gli rendano mai giustizia.

D’altronde è ostico alquanto discorrere di ciò che non si può capire fino in fondo. La ragione arriva fino ad un certo punto, ma di fronte ad alcuni eventi così fuori dall’ordinario la questione diventa un’altra. Trovo che una frase di David Foster Wallace possa rivelarsi illuminante in merito: “Ci sono tre spiegazioni valide per l’ascesa di Federer. La prima ha a che vedere con il mistero e la metafisica ed è, a mio avviso, la più vicina alla verità. Le altre sono più tecniche e funzionano meglio come giornalismo”.

Il nocciolo della questione è tutto qui. Impensabile e impronosticabile pensare che un atleta dell’età di Federer (35 anni e 342 giorni nel momento in cui ha sollevato il trofeo dinanzi al pubblico in estasi del Centre court), con alle spalle una carriera da professionista in cui ha ridefinito il concetto stesso di record, potesse conseguire risultati talmente eclatanti da apparire frutto di un disegno più grande che poco o nulla hanno che fare con quanto la nostra mente è abituata a concepire.

Il tono potrebbe sembrare enfatico, ed effettivamente è proprio così (ma è ampiamente giustificato).

Parliamo di un uomo che ha scritto e riscritto più volte la storia di questo sport e che quest’anno, nel 2017, al suo rientro nel circuito dopo 6 mesi di stop a metà tra il volontario e il forzato, è stato in grado di vincere due prove dello Slam su due giocate, due Master 1000 e il torneo di Halle (ATP 500). Numeri impressionanti.

Per quante volte giornalisti e addetti ai lavori ne abbiano decretato l’avvio verso un lento declino, per altrettante volte Roger è risorto come l’araba fenice, rinnovando il miracolo sportivo che ormai si protrae da più di tre lustri.

Ma dopo la doverosa introduzione cercherò di parlarvi, senza ulteriori divagazioni (ma non assicuro niente), degli eventi che hanno interessato lo Slam londinese e della cavalcata trionfale del maestro svizzero.

Gli avversari affrontati dal “King” sono stati, in sequenza: Alexander Dolgopolov, Dusan Lajovic, Mischa Zverev, Grigor Dimitrov, Milos Raonic, Thomas Berdych e infine Marin Cilic.
Se i primi due turni vedevano il campione di Basilea opposto a giocatori che oggettivamente non avrebbero potuto creargli particolari difficoltà, vi renderete conto perfettamente che dal terzo round in poi vi erano, ad attenderlo, tennisti che sull’erba avrebbero potuto rivelarsi estremamente pericolosi.

Zverev e Dimitrov venivano da un periodo positivo, stavano esprimendo un gioco di alto livello, e seppur presentando caratteristiche differenti (uno stile improntato al Serve and Volley per Mischa; tennis più a tutto campo nel caso di Grigor), sembravano avere le carte in regole per mettere quanto meno i bastoni tra le ruote a Federer o tentare di complicargli i piani: liquidati entrambi per 3 set a 0.

Non che Raonic, Berdych e Cilic abbiano avuto sorte diversa. Parliamo di grandi battitori, tennisti che fanno della potenza il loro marchio di fabbrica e che traggono grande vantaggio dall’erba, da sempre amica dei “bombardieri”. Anche loro sono stati piegati per 3 set a 0.

A ben pensarci e per onor del vero Federer, a Wimbledon 2017, ha trionfato senza perdere neanche un set. Un dato statistico che ha dell’incredibile. L’unico a riuscirci nell’era Open è stato Bjorn Borg nel ’76, a testimonianza di come sia complicato non smarrire nemmeno un set durante l’arco di un intero torneo, per di più su una superficie infida come i prati dell’All England Club.

Qualcuno potrebbe giustamente chiedersi: “Ma Nadal, Djokovic e Murray che fine hanno fatto?. la risposta è però evidente. Nadal si è arreso agli ottavi a Gilles Muller, autore di una prova eccezionale e una vittoria al cardiopalma per 15-13 al quinto set.
Djokovic si è ritirato nei quarti contro Berdych (il quale era in vantaggio per 1 set a 0) per il manifestarsi del “gomito del tennista”.
Il favorito di casa invece, Andy Murray, condizionato da un problema all’anca ha deposto le armi contro l’americano Querrey, anche lui nei quarti.

Defezioni eccellenti e ovviamente non preventivate, che significavano per Federer il passaggio dalla condizione di “favorito” a “vincitore scritto”. In realtà nulla è così scontato e chi segue il tennis sa che sottovalutare gli avversari può rivelarsi sempre un errore. Indubbiamente le chance di Roger aumentavano, ma era ancora tutta da giocare.

Tutta da giocare era la finale con Marin Cilic (e ora veniamo all’atto conclusivo), avversario noto allo svizzero e che in carriera gli ha procurato più di qualche difficoltà in anni recenti.
Proprio a Wimbledon, nella passata edizione, il croato ebbe tre match point che non riuscì a sfruttare e finì poi con il perdere l’incontro, al termine di una battaglia senza esclusione di colpi e che vide il “King” spuntarla per il rotto della cuffia.
Il ricordo di quella partita era ancora vivo negli occhi degli appassionati e, dato il gioco solido e efficace di Cilic, era lecito aspettarsi una finale equilibrata o quantomeno che presentasse delle insidie per Roger: lo spettacolo sembrava garantito.

La sorte però ci ha messo lo zampino, e si è accanita contro il nativo di Medjugorje.
Questi aveva iniziato il match con la giusta spavalderia e nelle fasi iniziali l’inerzia sembrava andare proprio a suo vantaggio, quando, all’improvviso, l’insorgere di un problema fisico (al piede sinistro) manifestatosi a metà del primo set ne ha pesantemente condizionato il rendimento in campo.
Seguirà un tracollo psicologico, culminato in un pianto che aveva tutta l’aria di essere una definitiva presa di coscienza: l’occasione della vita, Marin, non avrebbe potuto giocarsela al meglio e al 100% delle sue possibilità.
Da lì in poi Federer si rivelerà implacabile e nel giro di un’oretta e mezza chiuderà l’incontro con il punteggio di 6-3 6-1 6-4.

Piangerà anche Roger, al termine della tenzone. Si commuoverà incrociando lo sguardo dei suoi quattro figli, schierati in formazione completa e sotto lo sguardo attento di Mirka ad assistere ad un evento storico di cui lui stesso è stato autore e protagonista. Lacrime di gioia, lacrime diverse da quelle del rivale e da quelle versate in passato. Lacrime di un padre felice di aver condiviso quel momento con i suoi cari, che ci hanno ricordato come, una volta riposta la racchetta, in fin dei conti sia umano, umanissimo, anche lui.

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