Segnala a Zazoom - Blog Directory

Pd, Bastava un Sì per la cassa integrazione. Gli strascichi della debacle referendaria sui dipendenti del Pd

Gli strascichi della débacle subita dal Pd a seguito dell’esito a favore del ”No” espresso al referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre si sono ripercossi sul Pd non soltanto politicamente, ma anche economicamente.

La debacle subita dal Pd dopo il referendum costituzionale sta mettendo a dura prova le finanze del Partito Democratico. Durante il periodo referendario, il Partito Democratico non ha badato a spese per la campagna a favore del ”Sì” che è costata 14 milioni di euro. Il Pd si trova a dover far fronte al pagamento dei fornitori della campagna referendaria: si tratta all’incirca di 7.767.000 euro ai quali vanno ad aggiungersi una serie di debiti ancora da pagare per un ammontare di 9.000.000 di euro di passivo registrato. Il risultato è il primo bilancio in profondissimo rosso dell’era Renzi.

Il risultato di questa crisi, che ha sfondato le porte del Nazareno, quartier generale dei Dem, è la cassa integrazione in cui finiranno, a rotazione, tra settembre ed ottobre, i 184 dipendenti del Pd con lo scopo di recuperare da questa misura 3 milioni di euro. La spesa per il personale costa 8 milioni di euro all’anno, con un costo medio per addetto di 5.500 euro, troppi secondo il Nazareno.

Forse, ai 184 dipendenti del Pd che ieri, alle soglie delle ferie estive, hanno ricevuto la cattiva notizia, avrebbero dovuto dire che sarebbe “Bastato un Sì” per rischiare la cassa integrazione.

A complicare ulteriormente le cose si sono messi pure i parlamentari che, sempre più spesso, non rispettano il dovere verso il proprio partito: i contributi degli eletti sono infatti crollati dai 10 milioni del 2015 ai 6,6 del 2016.

In questo clima, non stupisce il fatto che in molti credano che Renzi stia pensando di liquidare il Pd così com’è e di dar vita a qualcosa di diverso. Questo scenario però è sempre stato smentito ufficialmente dal Segretario e dai suoi fedelissimi, ma che potrebbe essere l’ultima ratio in una situazione, quella della crisi economica interna al Partito, ormai irrecuperabile. 

Il tema economico e quello politico però sono legati indissolubilmente. Ci avviciniamo alle elezioni politiche del 2018 e, a fronte della crisi economica in cui si trova il Pd, viene da chiedersi come farà un partito ridotto in questo stato ad affrontare le spese e le tensioni politiche di una campagna elettorale.

Negli ultimi tre anni, molte delle spese del Pd erano state coperte dalla Fondazione Open, braccio operativo dell’attività politica di Renzi, ma dopo che quest’ultimo ha perso il referendum costituzionale e rassegnato le sue dimissioni, i grandi finanziatori hanno chiuso i rubinetti. Un problema non da poco, specie se si considera che adesso ci saranno da sostenere ulteriori costi, non irrisori, della campagna elettorale, con Renzi che intende far sentire la sua presenza su tutto il territorio nazionale.