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Twitter action di Amnesty a 5 mesi dalla scomparsa di Giulio Regeni al Cairo

Due giorni di twitter action per chiedere verità e giustizia per il giovane ricercatore italiano

Giulio Regeni scompariva cinque mesi fa in Egitto. La sua tragica storia ha fatto il giro del mondo. Le torture subite e la sua orrenda morte rimangono ancora in attesa di risposte certe. Oggi e domani la sezione italiana di Amnesty International ha deciso, così, di mettere in campo un’azione mediatica per cercare di riportare l’attenzione generale su questa vicenda, facendo pressione in primo luogo sugli attori istituzionali che giocano un ruolo decisivo sui possibili sviluppi diplomatici di questa storia.

Di fronte all’attuale inerzia del governo italiano, il 25 e il 26 giugno (Giornata internazionale per le vittime della tortura) vogliamo riportare all’attenzione il caso Regeni con una grande mobilitazione online.

Nei giorni scorsi, Amnesty ha anche espresso, in una lettera al ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni,

«preoccupazione per la mancanza di significativi progressi nell’accertamento dei fatti e delle responsabilità per la sua tragica uccisione».

Per l’associazione, che si batte da anni per i diritti umani, infatti:

«nelle settimane successive al ritrovamento del corpo, orrendamente torturato, di Giulio Regeni e di fronte a un obbligo internazionale di svolgere un’inchiesta approfondita e indipendente sulla vicenda e di portarne i responsabili di fronte alla giustizia, le autorità egiziane hanno offerto spiegazioni diverse e contraddittorie, tutte alquanto improbabili, alcune qualificabili come veri e propri depistaggi, e si sono dimostrate nel contempo poco propense a collaborare seriamente con gli organi investigativi e giudiziari italiani».

Non solo:

«negli ultimi mesi (…) il contesto di violazione dei diritti umani nel quale si colloca la vicenda specifica di Giulio Regeni ha visto un notevole peggioramento: il ricorso alla tortura e alle sparizioni resta pratica comune mentre risulta in aumento la persecuzione ai danni di attivisti e difensori dei diritti umani, tra i quali anche due consulenti dei legali della famiglia Regeni».

Amnesty, quindi, pur apprezzando le iniziative del governo italiano ― e in particolar modo «la scelta di richiamare l’ambasciatore al Cairo e la recente rassicurazione che, per il momento, il nuovo ambasciatore rimarrà in Italia» ― chiede che si mettano in atto nuove e più incisive iniziative, utili a dare adeguate risposte all’inerzia e alle discutibili manovre delle autorità egiziane.

Nello specifico, la sezione italiana di Ambesty ritiene che costituisca un passo necessario, innanzi tutto:

«l’interruzione immediata di ogni ulteriore fornitura di armi e altri equipaggiamenti utilizzati per commettere o agevolare gravi violazioni dei diritti umani in Egitto. L’Italia è infatti tra i paesi europei che hanno continuato a esportare in Egitto, anche in tempi assai recenti, sia armi che tecnologie e strumentazioni sofisticate per svolgere attività di sorveglianza, nonostante il rischio elevato che le une e le altre possano essere usate contro il dissenso pacifico».

Altra richiesta è poi quella che invita il governo italiano a compiere «sforzi finalizzati a rafforzare la risposta dell’Unione europea e della comunità internazionale».

In particolare, il governo dovrebbe:

«attivarsi affinché l’Unione europea assuma, in coerenza con la risoluzione del parlamento europeo del 10 marzo che definisce opportunamente Giulio Regeni “cittadino europeo”, tutte le iniziative necessarie, tenendo conto che l’accordo di associazione tra Unione europea ed Egitto prevede che il rispetto dei diritti umani sia parte integrante di quell’accordo».

e contestualmente:

«promuovere l’adozione di una dichiarazione sulla situazione dei diritti umani in Egitto, che faccia riferimento al caso Regeni, nel Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite».

Infine, Amnesty raccomanda come extrema ratio il ricorso alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984, di cui Italia ed Egitto fanno entrambi parte:

«l’articolo 30 prevede infatti che, a fronte di una controversia relativa all’applicazione della Convenzione, ogni stato parte possa promuovere, nell’ordine, un negoziato, un arbitrato internazionale e, infine, un ricorso unilaterale alla Corte internazionale di giustizia».

Intanto la mobilitazione online continua, ottenendo riverbero anche fuori dai confini nazionali: