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Perchè De Magistris ha torto nella polemica con Saviano

Passata l’euforia delle feste, con l’arrivo della befana e del freddo dal nord, l’episodio camorristico avvenuto nella Maddalena, alle spalle di piazza Garibaldi, tra Forcella e quello che era lo storico mercatino della Duchesca, rappresenta un drammatico ritorno alla realtà e non si va da nessuna parte contrapponendo a questo grave fatto di cronaca la simbologia della città di Dolce e Gabbana e del lungomare liberato, magari sotto l’albero di Natale in tubi innocenti e senza firma d’artista.

L’area, per chi non la conoscesse, la Maddalena e la Duchesca, dove ancora negli anni ’90 era possibile respirare l’atmosfera della celebre Tammurriata Nera ed acquistare di tutto a poco prezzo, dai famosi stereo Alpine per le macchine, fino ai cellulari e computer portatili, tutti rigorosamente di provenienza ignota, oltre ad essere un vero e proprio bazar, crocevia di traffici di vario genere (dalla contraffazione dei documenti, alla prostituzione e vendita di droga), è da anni una zona dove abitano ed hanno attività commerciali regolari gli immigrati, principalmente cinesi e magrebini. Un’area dove la convivenza è generalmente tranquilla, e dove proprio i cinesi alcuni anni fa furono protagonisti di una manifestazione contro il racket, la prima organizzata da immigrati, con un corteo cittadino che finì con un incontro con l’allora sindaca di Napoli.

Intanto stiamo parlando di tre persone gambizzate ed una bambina di 10 anni ferita da un proiettile vagante, cioè sparate alle gambe. L’episodio di per se è grave qualunque sia stata la dinamica e non può essere sminuito con un linguaggio degno di un uomo dei vicoli, per una serie di ragioni che il sindaco di Napoli dovrebbe ben conoscere.

Prima di tutto, l’intera area di Piazza Garibaldi è oggetto da anni di un piano per la sicurezza, coordinato dalla prefettura, fin dall’inizio dei lavori del progetto Perrault, ovvero il rifacimento della piazza per la stazione della metro ed i lavori già completati per la stazione ferroviaria, ai quali si accompagnarono importanti investimenti nel settore alberghiero, con la ristrutturazione di un hotel proprio a fianco alla Duchesca e la trasformazione dell’ex mercatino in un parcheggio custodito. Interventi, non facili (come quello per la realizzazione del parcheggio), richiesti da commercianti ed albergatori, avviati dall’ex giunta Iervolino e che il sindaco di Napoli dovrebbe conoscere, in quanto siede con due vesti nel Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica,  ovvero quella di Sindaco di Napoli e quella di Presidente della Città Metropolitana (ex provincia). Del Comitato fanno parte anche il Questore, i comandanti provinciali dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e talvolta vede anche la presenza del Ministro dell’Interno, oltre che del procuratore della Repubblica.

Piazza Garibaldi è una delle aree di maggior interesse strategico per la città, in quanto la stazione ferroviaria, e l’area circostante, sono da sempre transito di persone e merci di qualsiasi tipo, ed è stata negli anni oggetto di diverse operazioni di Ordine Pubblico anche per le vicende legate alla compravendita di permessi di soggiorno, passaporti e carte d’identità. In diverse occasioni poi è stata accertata la presenza di cellule terroristiche internazionali, che usano Napoli come base logistica. Oltre alla presenza dei clan camorristici, la prostituzione minorile, la droga, l’area è interessata da traffici di vario genere per cui da anni è presidiata dall’esercito, e dalle altre forze di sicurezza, ma evidentemente questo non basta.

Certamente non spetta al Sindaco monitorare le attività delle organizzazioni terroristiche, o reprimere i clan della camorra, ma i sindaci hanno una loro forza di polizia, i Vigili Urbani, ai quali spettano delle attività rilevanti per contrastare l’illegalità.

Ai vigili competerebbe accertare la regolarità con cui si svolgono le attività mercatali, inclusa la verifica dei permessi per la vendita e per l’occupazione di suolo pubblico, fino alle verifiche sulla provenienza delle merci vendute. Questa attività viene svolta? e se non viene svolta quali sono le ragioni? Posto che alcune ragioni potrebbero anche essere plausibili, pur se sconvenienti da dire al pubblico.

Il Piano per le Attività Commerciali prevede aree della città in cui non è possibile nemmeno la vendita itinerante che, a Napoli, è una tradizione antica ed un mestiere a cui si accede con estrema facilità. Basta semplicemente presentare una domanda in una municipalità per avere la l’autorizzazione alla vendita per itineranza, che viene sempre concessa per tacito assenso. La vendita itinerante è spesso la prima attività a cui si accede dai gradini più bassi della società e tutti hanno ben presente la figura dell’ambulante, dal famoso venditore di “cazettini” a quello di accendini, dal venditore di custodie per i cellulari, fino a quello che vende le borse, le cinte di cuoio, e gli occhiali.

Questa attività è in genere lasciata al “libero mercato”, per cui spesso è interessata dal controllo dei clan, come è bene spiegato da un articolo di Fabrizio Geremicca sul Corriere del Mezzogiorno. I clan impongono i prodotti da vendere e impongono il pizzo, benché si tratti di attività che non potrebbe sostare sui marciapiedi. La vendita itinerante infatti non può occupare suolo pubblico, se non per un brevissimo lasso di tempo. Per occupare suolo pubblico, anche solo stendendo una tovaglia per terra, come spesso si vede sulle vie della città, è necessaria un altro tipo di licenza, con l’occupazione di suolo pubblico ed il pagamento di una tassa. I clan quindi permettono l’apertura di bancarelle prive di permesso e si fanno pagare una tassa per l’occupazione del suolo, oltre ad imporre la merce da vendere.

Come fa allora De Magistris a scaricare tutta la responsabilità sul Ministero dell’Interno?

Il comune potrebbe fare qualcosa per gli itineranti, invece, anche senza mandare necessariamente i vigili a fare la guerra ai camorristi. Potrebbe ad esempio, oltre che favorire l’apertura di mercatini multietnici in zone interessate dal flusso di persone, quindi non in aree dove non passa nessuno, proporre alle aziende napoletane un accordo per dei prodotti da vendere, con un regolare marchio fornito dal comune. Si potrebbe iniziare a contrastare la fabbrica del falso, e il controllo della camorra sui laboratori artigianali, che spesso utilizzano forza lavoro in nero, ed in qualche caso anche i minori, per produrre merci contraffatte.

Sarebbero molti i prodotti locali che si potrebbero vendere con qualche centinaia di ambulanti regolarmente forniti di pass dal comune, di pettorina di riconoscimento, tessera con foto, e magari anche un aggeggio fornito di rotelle da aprire e chiudere nelle varie zone dove è possibile la vendita itinerante. Cravatte, guanti, occhiali economici ma non falsi, sciarpe, cappelli, cinte, borse, foulard, parei, maglie, ombrelli, ed altri oggetti utili o tipici di promozione della città (guide turistiche multilingue, mappe, gadget, etc,). Provare così a cambiare il tipo di merci vendute dagli itineranti, fornendo una garanzia per prodotti di qualità seppure a prezzi molto contenuti.

Sembra una cosa così difficile a farsi? Eppure non stiamo parlando di rivoluzioni…