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Il Commissariato Straordinario di Governo che piace al popolo. Quello ai Rom…

In una città che rivendica fieramente la propria autonomia, promuovendo su questo importante tema addirittura un Disegno di Legge al Parlamento, come se il titolo V della seconda parte della Costituzione non fosse sufficiente di per sé a garantire la sussidiarietà verticale tra lo Stato e le sue articolazioni locali, non c’è da stupirsi se il Sindaco e le forze politiche che lo sostengono, movimenti, centri sociali, comitati e confraternite incluse, tocchino ferro e gridino allo scandalo ogni volta che sentono parlare della nomina di un Commissario Straordinario di Governo per ogni situazione che necessita “particolari e temporanee esigenze di coordinamento operativo tra amministrazioni statali”, come prevede la Legge 400 del 1988. Ci si può consolare però con il fatto che i Commissari di Governo sono centinaia in Italia, e non stanno solo a Napoli.

Dopo la lunga stagione dei commissari straordinari che hanno gestito il terremoto e la crisi dei rifiuti, il comune di Napoli ed i suoi movimenti hanno vivacemente protestato per la gestione commissariale del San Carlo, e per l’istituzione di un commissariato straordinario per Bagnoli, tollerando a malapena i commissari per le ASL, ma quella è una questione di competenza regionale, si sa. 

Eppure, l‘art. 117 della Costituzione, così come modificato dalla riforma del 2001, e dovrebbero saperlo soprattutto i sostenitori delle ragioni del No che già sono impegnati in vista del prossimo referendum sulla riforma costituzionale del Senato, stabilisce chiaramente che la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali rientra nelle potestà legislative esclusive dello Stato, inoltre l’area di Bagnoli-Coroglio è Sito d’Interesse Nazionale (SIN) per la bonifica dal 2000, e precisamente da quando l’area è stata perimetrata come tale dall’art. 114 comma 24 della Legge n.388/2000 (Legge Finanziaria 2001, ma la legge istitutiva dei SIN è di due anni prima, la n. 426/98).

C’è un commissariato straordinario, però, da ben otto anni, che mette d’accordo tutti ed opera indisturbato. Questi è il Commissariato Straordinario all’Emergenza Nomadi, che fa capo alla Prefettura di Napoli, e che è stato istituito nella prima convocazione del governo Berlusconi che si tenne a Napoli, il 21 maggio 2008, appena una settimana dopo il l’incendio dei campi Rom di Ponticelli, le cui immagini fecero il giro del mondo. Il Commissariato Straordinario all’Emergenza Nomadi (che poi tanto nomadi non sono ed il termine è stato considerato superato anche dal documento di Strategia Nazionale sui Rom 2012-2020), ha da allora competenza sull’intero territorio della regione Campania. A questo organo competono tutte le scelte necessarie per il superamento dello stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità Rom, Sinti e Camminanti.

Bene, sarebbe dunque il caso di chiedersi cosa è stato fatto da allora?

Le informazioni non sono molte, ma può essere indicativo ripercorrere una vicenda paradigmatica, a modesto parere di chi scrive.  Nell’agosto del 2009, commissario all’emergenza Nomadi per la Campania era allora il prefetto Alessandro Pansa, attualmente capo del DIS (l’organismo di coordinamento dei servizi segreti), fu firmato un protocollo d’intesa tra il Commissarato e la giunta Iervolino per l’utilizzo di uno stanziamento complessivo di 24 milioni di euro, 17 milioni di euro, più 7 milioni stanaziati dalla regione Campania, finalizzati alla creazione di centri di accoglienza in città per circa 800 Rom, da ubicarsi nelle stesse zone dove questi risiedevano abusivamente.

Il progetto per Scampia, del costo complessivo di 7 milioni, prevedeva di realizzare 78 moduli abitativi con dei container come quelli utilizzati dall’UNHCR, ed opere di urbanizzazione d’emergenza (impianti idrici e collettori fognari). Il villaggio, che avrebbe dovuto ospitare circa la metà dei Rom che abitano abusivamente a via Cupa Perillo da crica trent’anni, era previsto che avrebbe dovuto essere realizzato sugli stessi terreni, per un importo di 7 milioni di euro di Fondi POR-FESR 2007-2013, ma la delibera si arenò perché parte del terreno era di proprietà di un privato. Il comune andò in causa contro il privato per l’esproprio e vinse.

La sfortunata delibera però, siamo nel 2011, fu bloccata dalla appena insediatasi giunta De Magistris, con uno dei primi atti dell’allora assessore alle politiche sociali, Sergio D’Angelo, particolarmente sensibile alle richieste delle associazioni locali che chiedevano di ridiscuterne le caratteristiche. La campagna d’ascolto e di progettazione partecipata, iniziata un’anno dopo, nel giugno del 2012, con un protocollo d’intesa tra il Comune di Napoli ed il Dipartimento di Progettazione Urbana della Federico II, partorì un nuovo progetto dopo altri due anni.

Si arrivò finalmente alla delibera del consiglio comunale, il 15 maggio 2014, per le “attrezzature socio assistenziali per insediamento abitativo temporaneo di rom” da realizzare in via Cupa Perillo, ovvero un “villaggio ecologico” di 56 casette a due piani, realizzato con materiali bioedilizi riciclabili e pannelli fotovoltaici, per un uso abitativo temporaneo, e destinato a 400 persone (praticamente la metà dei rom che risiedevano a Cupa Perillo). Le strutture avrebbero dovuto essere rimovibili, come i gazebo, perché altrimenti sarebbe stata necessaria una variante al Piano Regolatore.

I fondi del piano POR erano in scadenza e bisognava fare in fretta per iniziare le opere, evitando il rischio che venissero tagliati nella programmazione successiva. Nel novembre del 2014 però, come una doccia ghiacciata, una lettera di risposta della Commissione Europea ad un quesito posto dall’Associazione 21 Luglio, dal Centro Europeo per i Diritti dei Rom (European Roma Rights Centre, ERRC) e da OsservAzione, inviata per conoscenza anche alla nuova assessora Roberta Gaeta del Comune di Napoli, esprimeva forti perplessità sul progetto e ribadiva che “la posizione fisica delle case deve assicurare l’integrazione spaziale di queste comunità nella società e non contribuire alla segregazione, isolamento, esclusione”.

La Commissione Europea inoltre, sottolineando la necessità di “un approccio integrato” alla questione ROM e che i Fondi FESR non possono essere utilizzati per soluzioni emergenziali e temporanee, informava che avrebbe contattato le autorità regionali in Campania per ottenere informazioni più specifiche in modo da poter prendere una posizione definitiva sulla conformità o meno del progetto con le linee guida del FESR.

Insomma, addio progetto ed addio fondi. Nella programmazione attuale dei Fondi POR-FESR 2014-2020 della Regione Campania, non a caso, la linea di finanziamento per i campi Rom non c’è più.

La realizzazione dei campi, mentre si cercava di spendere 7 milioni stanziati nel 2009, era diventata nel frattempo una misura in contrasto con la politica dell’Unione Europea per l’integrazione di questa minoranza. Tuttavia, se quei fondi fossero stati spesi in tempo, e rapidamente, si sarebbe potuto almeno evitare che per otto anni i bambini di quei campi continuassero a vivere tra i topi, costretti a fare i buchi per terra per i loro bisogni fisiologici. Fermo restando che la cifra di 7.015.995,96 dividendola per 56 unità abitative farebbe la bellezza di 125.000 euro circa ad abitazione. Ci sarebbe da chiedersi allora se non si fa prima a comprare appartamenti già realizzati a Napoli e provincia e metterci dentro le famiglie rom, evitandone la concentrazione, come si fa in Europa, ed evitando la realizzazione di ghetti che finiscono per condannare i rom ad essere discriminati.

Naturalmente il commissariato all’emergenza nomadi di Napoli e Campania non si è occupato solo di questa vicenda, di questo si può essere relativamente certi, anche se è molto complicato accedere ai documenti.

Nell’anno 2009 furono ammessi al finanziamento del Ministero dell’Interno tre progetti, per importi abbastanza elevati, tuttavia le procedure di appalto furono sospese in seguito ad una sentenza del Consiglio di Stato, e gran parte dei fondi furono restituiti al Ministero dell’Interno. I campi di Giugliano nell’area ASI ed il futuro campo che dovrebbe sorgere a Masseria dal Pozzo sono invece opera di questo organo e sarebbe il caso di andare a vedere di persona come vengono spesi i fondi. Anzi sarebbe il caso di chiedersi anche chi sono i soggetti attuatori di questi ingenti finanziamenti, a parte i comuni. Almeno questo non dovrebbe essere un mistero della Repubblica…