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Intervista a Paragone: Frasi Shock su immigrati e su Ius Soli

Un’interessante intervista a Gianluigi Paragone è stata pubblicata da quotidiano VanityFair. L’ ex conduttore de La Gabbia, noto talk politico su La 7, è ora uno tra i candidati più in vista tra le fila del M5s.

L’intervista è impostata in modo molto confidenziale, ragion per cui, Paragone si lascia un po andare alle domande del giornalista che man mano, dalla sua vita privata e dai suoi trascorsi giovanili, lo induce a fare delle rivelazioni sulle sue idee politiche alquanto irriverenti..

Gianluigi Paragone, è pronto? 

«Adesso sto solo sgambettando a bordo campo. La campagna inizia tra qualche giorno».

Come la condurrà?

«Alla vecchia maniera. Sto cercando una jeep con cui girare per la provincia di Varese, in piedi con l’altoparlante».

Dopo qualche breve scambio con il giornalista di Vanity Fair sul suo passato giovanile, Gianluigi Paragone, prima direttore de La Padania, poi dirigente Rai in quota Lega, racconta di aver fatto volontariato presso gli Scout..

Scout come Renzi? 

«Sì, l’esperienza più formativa della mia vita. È durata vent’anni. Fino a quando mia moglie, forse legittimamente, mi ha pregato: “Basta”».

È cattolico?

«Sì, di quelli che vanno a messa la domenica. Ci credo».

Da direttore de La Padania, candidò Oriana Fallaci alle Politiche del 2006 «contro questa sinistra islamista». Lo pensa ancora? 

«Di più, la visione della sinistra va oltre il buonismo. È ormai globalista e fighettina».

Si riferisce all’immigrazione?

«Anche. Veda lo Ius Soli, fatto non per il contenuto, ma per la voglia di dire: “Noi siamo i più civili”».

Lei è contrario?

«Sì. Sono per il diritto di Residenza permanente. L’immigrato, dopo un tot di anni, ottiene tutti i diritti, tranne quello di voto. E si vede togliere la residenza se infrange la legge».

Piuttosto dura come linea. 

«Per l’immigrazione serve rigore assoluto e spesa pubblica, non fighettismo».

A La Padania protestò anche contro la «vergogna» degli stranieri nei campi di calcio: «Il fallimento di uno sport».

«Una battaglia sacrosanta, che vale ancora di più per il basket. La invito ad andare a veder allenarsi le giovanili di tante squadre famose, formate grazie a una tratta di ragazzi portati qui con l’illusione di poter diventare campioni».

Non mi sorprenderei se adesso mi tirasse fuori l’idea di uscire dall’Euro. 

«La questione è molto più complessa. È chiaro che l’Euro così com’è, rigido e senza possibilità di giocare con i tassi d’interesse, è una moneta sbagliata. La soluzione sarà la creazione di due monete, un euro del Nord e un euro del sud, o la creazione di un Euro flessibile».

È grazie alla sua competenza su economia e finanza che i 5 Stelle l’hanno adocchiata come candidato. Come l’hanno convinta? 

«Dopo mesi di incontri pubblici, Di Maio mi ha chiesto: “Perché non ci metti la faccia?”».

Cosa le hanno detto in casa?

«Mio figlio, 14 anni, mi fa: “Ma fammi capire, adesso guadagnerai meno?”».

Proprio un varesotto. Comunque è vero?

«Mi taglierò ovviamente lo stipendio come tutti. Ma continuerò a scrivere per Libero e a lavorare per La7».

Condurrà ancora?

«Continuerò a fare l’autore e, se qualcuno lo vorrà, a condurre un programma, Non ovviamente un programma come La Gabbia, ma magari con un co-conduttore di uno schieramento avverso. Un po’ come l’Otto e Mezzo di Ferrara e Lerner».

Ma, mi scusi, lei sa che per regolamento i parlamentari 5 Stelle devono farsi autorizzare qualsiasi comparsata dall’ufficio di comunicazione. Lei per esempio, l’ha chiesta prima di fare quest’intervista?

«No, uso una metafora: se chiami un cuoco, non gli chiedi di pitturare le pareti della cucina».

Tradotto?

«Sono un giornalista televisivo, conosco le regole della comunicazione. Lo sa anche la struttura della comunicazione. Mi hanno detto: “Fai quello che sai fare”. Perciò gestisco le mie apparizioni da solo».

Fortunato. Senta, come finirà il 4 marzo?

«Se saremo il partito più votato d’Italia, Di Maio chiederà alle forze politiche se vogliono appoggiare le misure presenti nel nostro programma».

Fare l’invito a tutti equivale a non farlo a nessuno. 

«Ma il nostro programma, è davvero così lontano dalle opinioni degli altri partiti? Per esempio sul lavoro, Salvini e un pezzo della sinistra sono così in antitesi? Forse no…».

E Berlusconi, non lo considera nemmeno?

«Bollito».

Renzi?

«Il ragazzo superveloce di cui si era innamorato un elettorato che veniva dal centrodestra, e che poi ha rallentato».

Simpatie del centrodestra che adesso il M5S spera di agguantare. Grazie anche a lei, figura vicina agli imprenditori. 

«C’è una differenza. Io sono affascinato dalle piccole aziende, dagli artigiani, dall’orgoglio del Made in Italy. Renzi dalle grandi imprese, da player come Apple e Google, grandi evasori fiscali che non creano posti di lavoro».

Ma lei cos’ha votato alle Politiche del 2013?

«Dissi che non sarei andato alle urne. In realtà votai per il Movimento. Avevo già capito che erano come le bollicine nella politica. Servono più di tutti. Sono creduti, ancor prima che credibili».