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La genesi del M5S. Una vicenda No Global

Un paio d’anni fa, la rivelazione sul quotidiano torinese La Stampa di alcuni passaggi di un libro di Tim Geithner, fino al 2013 segretario del Tesoro per l’amministrazione Obama, dal titolo “Stress Test. Riflessioni sulla crisi finanziaria”, causò un’accesa polemica politica che spinse addirittura Berlusconi, per bocca di Brunetta, a chiedere una commissione parlamentare d’inchiesta per indagare su un presunto golpe bianco avvenuto tra l’estate e l’autunno del 2011 in Italia.

Geithner, nel suo libro, aveva raccontato che nel 2011, in uno dei momenti topici della crisi economica e politica che attraversava l’Unione Europea, con lo spread alle stelle, la Grecia sull’orlo della bancarotta, l’euro fortemente indebolito ed il rischio di default di Italia e Spagna, fu avvicinato da alcuni funzionari europei, i quali gli proposero un piano che aveva come obiettivo quello di far cadere il presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, già fortemente delegittimato dagli scandali sessuali che lo avevano coinvolto.

Secondo il piano dei funzionari, per far cadere Berlusconi, gli USA dovevano rifiutarsi di sostenere i prestiti del Fondo Monetario Internazionale all’Italia, fino a quando non sarebbe stato costretto alle dimissioni.

L’esistenza di un vero e proprio piano internazionale per far cadere Berlusconi fu confermata anche dall’ex premier spagnolo, Zapatero, in un’intervista rilasciata, sempre al quotidiano La Stampa, in cui disse testualmente:

Non dimenticherò mai quello che ho visto al G20 di Cannes. Andai con il timore che potessimo essere nel mirino dai sostenitori dell’austerità, ma l’obiettivo era l’Italia. Berlusconi e Tremonti subirono pressioni fortissime affinché accettassero il salvataggio del FMI. Loro non cedettero applicando un catenaccio italiano e nei corridoi si cominciò a parlare di Monti, mi sembrò strano(…) gli Usa e i sostenitori dell’austerità volevano decidere al posto dell’Italia, sostituirsi al suo governo. Era certamente vero che l’Italia aveva problemi finanziari e politici, ma qui stiamo parlando della sovranità di una nazione. E’ un caso che va studiato.

La vicenda di cui parlava Zapatero si consumò al vertice G20 di Cannes, il 3-4 novembre del 2011. Un summit ad altissima tensione svoltosi mentre i titoli greci venivano classificati come spazzatura ed i titoli di Stato delle banche europee erano sotto tiro degli attacchi speculativi dei mercati. In quel vertice erano nell’occhio del ciclone Italia, Spagna e Grecia, considerati l’anello debole della catena dell’euro, i cui sistemi politici erano al culmine di una crisi di legittimazione per le proteste sociali.

Il vertice esordì con la liquidazione del premier greco George Papandreu, al quale Germania, Francia e Commissione Europea negarono l’ok per il referendum sull’uscita dall’Unione, dandogli letteralmente lo sfratto da palazzo Maximou, intavolando accordi direttamente con il capo dell’opposizione, Samaras, per la formazione di un governo di unità nazionale.

Un vero e proprio dramma diplomatico si consumò poi quando la sera del 3 novembre, “seduti ad un tavolo piccolo e rettangolare per favorire la vicinanza ed un clima di fiducia”, si trovarono uno di fronte all’altro Angela Merkel, il presidente Barack Obama, Nicholas  Sarkozy, la presidente del FMI Christine Lagarde,  Silvio Berlusconi, il ministro dell’economia Tremonti, ed i rappresentanti spagnoli. Con il governo italiano delegittimato al punto che nei corridoi, come ha ricordato Zapatero, si parlava già di Mario Monti ex commissario europeo, e con il Quirinale che aveva già dato la disponibilità ad offrire garanzie ai mercati finanziari ed alle richieste della Germania.

La ricostruzione dell’incontro è sempre di Zapatero:

La Merkel domanda a Zapatero se sia disponibile «a chiedere una linea di credito preventiva di 50 miliardi di euro al Fondo monetario internazionale, mentre altri 85 sarebbero andati all’Italia. La mia risposta fu diretta e chiara: “no”». Allora i leader presenti concentrano le pressioni sul governo italiano perché chieda il salvataggio, sperando di arginare così la crisi dell’euro. C’era un ambiente estremamente critico verso il governo italiano», ricorda Zapatero, descrivendo la folle corsa dello spread e l’impossibilità da parte del nostro Paese di finanziare il debito con tassi che sfiorano il 6,5 per cento. Insomma, i leader del G-20 sono terrorizzati dai mercati e temono che il contagio possa estendersi a Paesi europei come la Francia se non prendono il toro per le corna. Il toro in questo caso è l’Italia. «Momenti di tensione, seri rimproveri, invocazioni storiche, perfino invettive sul ruolo degli alleati dopo la seconda guerra mondiale…»

Berlusconi e Tremonti, ricorda Zapatero, sfoggiarono una difesa a catenaccio degna delle migliori occasioni storiche, cercando di tenere la palla il più lontano possibile dall’area di rigore, rifiutando le condizioni del piano di salvataggio del FMI, con la Merkel che non riusciva a far cambiare idea a Jens Weidmann, il suo consigliere economico, finchè il presidente Obama diede ragione a Berlusconi e propose una mediazione all’americana, ovvero aumentare la liquidità con nuovi diritti speciali di prelievo sul FMI. La presa di posizione di Obama, che pronunciò la frase “Silvio is right!” fece scoppiare in lacrime la Merkel, che esclamò la famosa frase “io non mi suiciderò per l’Italia”, alla quale Tremonti rispose “conosco modi migliori per suicidarsi”. Alla fine l’Italia accettò la supervisione del FMI, ma non il salvataggio.

Dopo all’approvazione della legge finanziaria, il 16 novembre del 2011, Berlusconi si dimise ed al suo posto subentrò con una maggioranza di larghe intese Mario Monti, che il 9 novembre era stato nominato senatore a vita.

Altre testimonianze su questa vicenda che confermano il quadro sono di Alan Friedman, il quale ha rivelato che già dal giugno del 2011 erano in corso i sondaggi di Napolitano sul nome di Monti, confermati dalle interviste effettuate dal giornalista americano a Carlo De Benedetti, Corrado Passera e Romano Prodi.

Chi aveva deciso quindi la fine del governo Berlusconi? Il parlamento, i leader internazionali o i mercati finanziari?  A questa storia, già nota, degna della migliore conspiracy fiction, bisognerebbe però aggiungerne un’altra.

Il 2011 è stato anche l’anno delle proteste globali che, dalle primavere arabe, in particolare quella iniziata in Tunisia e la rivolta egiziana di Piazza Tahrir, al movimento degli Indignados spagnoli, alle proteste di piazza Syntagma ad Atene, al movimento #OccupyWallStreet, fino al movimento #Occupy italiano, ha mobilitato decine di milioni di persone nelle principali capitali, con proteste che in molti casi sono sfociate in massicci scontri e dure ondate di repressione.

L’impatto di questi movimenti, in particolare nei paesi arabi, ha causato dei veri e propri terremoti politici, con la caduta di diversi regimi e, soprattutto nelle società più tradizionali, uno shock culturale che, in alcuni casi, ha portato all’instaurazione di dittature militari, in particolare in Egitto, dopo una breve transizione guidata dal partito islamico-conservatore dei Fratelli Musulmani, trainati da un voto reazionario e di protesta e da una campagna elettorale che prometteva il ritorno della Sharia.

Tra i movimenti europei, quello spagnolo, iniziato dalla piattaforma Democracia Real Ya! del gennaio 2011, che ebbe l’adesione di 500 associazioni, adottando una strategia prevalentemente nonviolenta riuscì ad estendersi in 58 città della Spagna, occupando per mesi le principale piazze, a partire dal 15 maggio del 2011, fino ad ottobre dello stesso anno. Con una partecipazione di milioni persone che ha costituito le basi dell’attuale mutazione del quadro politico spagnolo.

Il movimento italiano, caratterizzato in gran parte dagli studenti dell’Onda che avevano occupato  scuole ed università a partire dal 2008, partito in ritardo rispetto ai movimenti arabi e spagnoli, lanciato dalla mobilitazione per il referendum sull’acqua, e dalle vittorie dei sindaci “arancioni” di Napoli e Milano, Genova e Cagliari, con il PD in forte crisi di consensi ed una feroce lotta interna, ed una sinistra semi-istituzionale divisa, litigiosa e fuori dal parlamento già da tre anni, si concentrò nell’organizzazione della manifestazione di massa del 15 ottobre del 2011 di piazza San Giovanni a Roma. Questa manifestazione, secondo le intenzioni di chi aveva lanciato l’appello ad aderire a questo appuntamento internazionale, avrebbe dovuto terminare con l’occupazione pacifica della piazza per diventare il propulsore in Italia di un movimento simile a quello spagnolo.

Alla manifestazione aderirono circa 300.000 persone da tutta Italia, molti con tende e sacchi al pelo al seguito, ma si concluse con una giornata di scontri con la polizia, lo sgombero della piazza, già riempita da migliaia di manifestanti e decine di arresti, per il protagonismo di alcuni del settori di movimento che non avevano preannunciato in nessuna sede le loro intenzioni.

In quella giornata mancò solo il morto per ripetere Genova 2001, segno che una nuova generazione era entrata in scena e non aveva memoria di quello che era successo dieci anni prima. Gran parte dei dei partecipanti a quella giornata, dopo aver intrapreso un lungo viaggio in pullman, in treno ed addirittura in nave, dovette tornarsene a casa senza essere nemmeno riuscita ad arrivare al termine della manifestazione.

Il seguito di quella manifestazione fu una stretta repressiva sulle norme di pubblica sicurezza nei cortei, e spaccature orizzontali e verticali nel movimento che fecero morire sul nascere quella esperienza. A Roma non si celebrarono manifestazioni nazionali per molti mesi.

Ma mentre nel movimento italiano volavano gli stracci a mezzo social network, che fine avevano fatto intanto quelle centinaia di migliaia di persone che chiedevano un radicale cambio politico e le dimissioni di Berlusconi? e che avrebbero potuto essere coinvolte in un movimento di massa come quello spagnolo, con una sinistra da ricostruire dal basso, forte di una tradizione culturale che certamente in Italia non è inferiore a nessun paese occidentale?

Dopo il disastro del 15 ottobre, gran parte di quelle persone finirono dietro i monitor dei loro computer, navigando sul web ed i social network alla ricerca di qualcuno che interpretasse la loro indignazione.

Nel 2011 Facebook contava già 21 milioni di iscritti in Italia, con una media di 13 milioni di accessi individuali al giorno. La pagina FB di Beppe Grillo, già lanciata dal successo del suo blog, che per alcuni anni è stato uno dei più visitati al mondo, cominciò a crescere di decine di migliaia, poi centinaia di migliaia di contatti. Decine di migliaia di persone che sentivano il bisogno di partecipare ad una costituente politica, nel vuoto pneumatico che si era determinato, finirono così in massa a scrivere frasi con il Blocco Maiuscole che si perdevano tra le migliaia di commenti, dal Blog alla pagina Facebook di Beppe Grillo, abilissimo nel sondare gli umori, e nell’interpretare e mixare le diverse parole d’ordine costruite dai movimenti e dalla sinistra in venti anni di indignazione morale contro il berlusconismo, mischiandole sapientemente con un linguaggio ambiguo che catturava simbolicamente anche gli indignati generalmente orientati a destra, ovvero quelli che odiano i sindacati, i partiti, gli immigrati, gli zingari e che difficilmente accetterebbero di fare comunella con qualche militante dei centri sociali.

La scelta di non andare al voto, dopo le dimissioni di Berlusconi, dando vita ad un’alleanza tra PD e PdL, tolse alla sinistra il monopolio dell’antiberlusconismo, uno dei collanti principali, se non il collante principale dei movimenti italiani dal 1994 al 2011, e si perse così l’ultima occasione per trasformare quell’indignazione morale in una soggettività politica.

Almeno la sinistra perse l’occasione, perché di lì a poco, quel movimento che iniziava a darsi un organigramma,  sottovalutato dai dirigenti politici del centrosinistra, benchè alle elezioni amministrative del 2012 aveva vinto a Parma ed aveva ottenuto importanti percentuali, superiori alle aspettative, nei 101 comuni dove si era presentato, ed era stato già attenzionato fin dal 2008 da alcune importanti istituzioni finanziarie e rappresentanze diplomatiche, diventò l’unico referente dell’indignazione di milioni di persone.

Nella campagna elettorale delle elezioni del 2013, Grillo riempì le piazze con folle impressionanti, chiudendo la campagna elettorale proprio a Roma, piazza San Giovanni, al grido “non siamo un partito, non siamo una casta, ognuno vale uno”.

Quando si andarono a contare i voti, alle elezioni politiche che la coalizione Italia Bene Comune di PD e SEL non riuscì a vincere al Senato, ben 8 milioni e 691 mila elettori avevano votato per il M5S.