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Le 10, 100, 1000 città di Napoli…

In quest’epoca di panico freddo, in cui l’incredibile “creatività” del terrorismo di matrice jihadista, moltiplicata all’ennesima potenza dai media e dalle tecnologie digitali, induce nelle popolazioni uno stato di ansia generalizzato, una sospensione in attesa del prossimo evento inatteso, provare a prendersi cura della vita quotidiana sta diventando veramente un atto rivoluzionario.

Se la politica non vuole collassare definitivamente nella catastrofe deve sforzarsi di svincolarsi dalla morsa paralizzante della paura, senza però finire nell’indifferenza nei confronti di tante vittime innocenti che a Nizza, a Parigi, a Bruxelles, ad Orlando, ed in tante altre città vicine e lontane dai nostri immaginari, hanno perso la vita, colpiti a caso mentre in un segmento della loro vita quotidiana si trovavano nel posto sbagliato, al momento sbagliato.

Tutti gli episodi di violenza “terroristica” che abbiamo visto attraverso i media, in questi ultimi anni, hanno per protagoniste le città, i loro simboli e monumenti, le persone che in quanto abitanti dei quelle città sono diventati dei bersagli da colpire.

La serendipity, cioè il “trovare una cosa mentre se ne cerca un’altra”, una delle caratteristiche principali della natura ambivalente e complessa della città, secondo l’antropologo Ulf Hannerz, viene rovesciata così in una dimensione opposta in cui proprio quella concentrazione di realtà ed oggetti che interagiscono nello spazio urbano in maniera non programmata e casuale costituisce l’elemento che amplifica al massimo il potenziale terroristico degli attacchi verso persone inermi. Se per geografi ed urbanisti il concetto stesso di città è in crisi, non lo è certamente per il terrorismo di questo nuovo secolo.

Questa premessa era doverosa per una breve riflessione sulla kermesse di Dolce & Gabbana a Napoli, e sulle polemiche che ne sono seguite sulla stampa e soprattutto sui social network, che giustamente hanno sottolineato il carattere politico di questa vera e propria operazione di marketing urbano, visto anche il protagonismo del sindaco di Napoli che ha addirittura consentito l’esenzione di un’imposta erga omnes agli organizzatori, la Cosap, affinché scegliessero Napoli per pubblicizzare il catalogo autunno inverno 2016/2017. Che immagine si dà di una città che non chiede il pagamento di un’imposta ad una multinazionale per una manifestazione che ha limitato per giorni la libertà di movimento e di circolazione dei residenti, istituendo persino una zona rossa off-limits, mentre queste limitazione, nel resto d’Europa sono principalmente messe in atto per le politiche di sicurezza pubblica? Che immagine è quella di una città che rinuncia a far pagare tasse ed imposte per l’uso privato di uno spazio pubblico?

Napoli, un tempo centro nevralgico dei flussi di merci nel Mediterraneo, è da decenni fuori dalle mappe della globalizzazione. All’inesorabile declino economico ed industriale, iniziato alla fine degli anni ’80 con il disimpegno graduale dello Stato dalle politiche di intervento pubbliche, sotto l’egida degli interventi straordinari, la città non ha trovato ancora una sua vocazione, ed anche la ripresa del settore turistico-alberghiero, e della impareggiabile ristorazione, sembra più legata al fatto che Napoli sia fuori dalle mappe globali anche per i terroristi, facendone così un luogo meno minaccioso per una breve escursione turistica. Persino le faide tra i clan camorristici, nell’assenza della minaccia caotica rappresentata dal nuovo terrorismo urbano che angoscia le principali città europee, sembrano essere un fattore di curiosità, ampiamente diffuso attraverso le fiction, come dimostra il successo di Gomorra la serie, venduta alle tv di 110 paesi del mondo, a dispetto degli “strilli” di quanti si indignano per la rappresentazione che viene offerta del fenomeno camorristico.

Quale immagine della città viene quindi rappresentata dalla pubblicità di Dolce & Gabbana invece? L’esclusione delle sue parti inestetiche e maledette, ovvero quella “città diffusa” che si estende fin oltre il perimetro urbano diramandosi da un lato fino alle pendici del Vesuvio e dall’altro fino all’agro aversano, se non venisse raccontata, seppur parzialmente, dalla fiction di Gomorra, non rischierebbe di riproporre il ritorno sulla scena di ciò che viene rimosso, solleticando il risentimento antipolitico di quanti si illudono che basti celebrare i frammenti della città positiva su quella oscura per chiudere i conti con il passato?

Quando esplose la crisi dei rifiuti, tra il 2007 ed il 2008, mentre era in corso la feroce faida di camorra tra i clan di Secondigliano, fu proprio questa una delle principali critiche mosse alle amministrazioni di centrosinistra, l’aver puntato tutto sull’immagine per favorire i flussi turistici, mancando l’incontro con il mutamento, producendo così le premesse dell’ondata antipolitica che ancora oggi ipoteca il futuro del ceto politico napoletano.

Ed è proprio questo il rischio che corre l’attuale sindaco, il cui progetto politico non fa mistero di appellarsi all’identitarismo ed un suo corollario nella città cartolina anche nelle politiche di marketing urbano, forse pagando un tributo a quei ceti che lo hanno sostenuto elettoralmente, come si può vedere nelle mappe realizzate da CommonGrounds per NapoliToday, in cui si vede chiaramente che De Magistris ha preso le percentuali di voto più significative proprio nelle zone più interessate dai fenomeni di valorizzazione immobiliare. La riproposizione dell’immagine cartolina stereotipata, tuttavia, rischia di diventare una gabbia che esclude dal “prodotto” turistico, dall’immagine della città, gli altri frammenti che ne caratterizzano la sua diversità.

Una città che sta al centro di un’area di 3 milioni di abitanti rischia così di venire proposta solo con le immagini della pizza, del babà, con lo sfondo del Vesuvio e dei suoi pittoreschi “indiani” del centro storico, negando le prospettive legate all’innovazione, emancipazione sociale, artistica, culturale e tecnologica che invece sono le leve che una città che aspira ad avere un ruolo nella competizione globale dovrebbe avere. Quello che viene proposto ed incoraggiato dal sindaco rischia di essere un modello vecchio di comunitarismo che si basa su identità precostituite e vincolanti, su una mitologia di un’origine perduta che si risolve nella costruzione di identità aggressive che negano la diversità di chi invece vorrebbe un modello di città che non rimanga ingabbiata nell’identitarismo etnico. Un’arma a doppio taglio, foriera di revanscismi ben più minacciosi dell’antipolitica. Una magra consolazione per essere ignorati, al momento, anche dalla geografia del terrorismo mondiale.