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Sidigas Avellino e Aquila Trento, modelli a confronto

A pochi giorni dall’inizio delle semifinali scudetto, mettiamo a confronto i modelli vincenti di Avellino e Trento. La squadra di Sacripanti proverà a sorprendere Venezia mentre a Trento, contro Milano, servirà tutta la sua atletica aggressività.

E dunque, come si costruisce una squadra vincente, in Italia? A parte i soldi, che è sempre meglio averne tanti ma poi bisogna anche sapere come dove e su chi andare a spenderli, cosa rende un semplice gruppo di giocatori una vera squadra di pallacanestro? Ebbene non pare esserci una sola risposta buona per tutte le stagioni e tutte le situazioni, sicuramente però incidono una serie di fattori come: 1) la solidità dell’ambiente, nel senso: la solidità economica di chi paga gli stipendi dato che ai giocatori americani, e non solo a loro, piace essere pagati senza troppi ritardi; 2) la qualità dell’allenatore: avere un’idea di gioco in testa è fondamentale, però non guasta, anzi aiuta eccome, la capacità di adattare le proprie idee alle specifiche caratteristiche degli elementi più talentuosi del roster, il che ci porta al punto successivo; 3) la bravura di chi, per conto di quel determinato club, si occupa dello scouting sia a livello nazionale che a livello internazionale (che di questi tempi, dato lo stato, Milano a parte, delle finanze cestistiche del nostro paese, vuol dire soprattutto Ncaa e D-League).

James Nunnally ai tempi di Avellino, dove è stato idolo del popolo irpino ed MVP del campionato italiano. Prima di approdare in Italia aveva giocato in Grecia, Israele e D-League. Ha appena vinto l’Eurolega con la maglia del Fenerbahçe.

Le due squadre che quest’anno in Italia meglio hanno operato nel rapporto tra i soldi spesi, la qualità del gioco mostrato e il successo sin qui ottenuto sono state la Sidigas Avellino e l’Aquila Trento, rispettivamente terza e quarta al termine della stagione regolare ed entrambe reduci da un secco tre a zero rifilato al primo turno dei play-off ad avversarie di livello come Sassari (eliminata da Trento) e Reggio Emilia (eliminata da Avellino). Entrambe stanno avendo successo grazie a società serie, allenatori tremendamente in gamba e dirigenti dotati di vero occhio per il talento (Nicola Alberani per gli irpini e Salvatore Trainotti per i trentini). L’analogia però finisce qua, visto che diversi sono stati i percorsi stagionali delle due squadre e diverse sono soprattutto le modalità in cui i due roster vengono fatti giocare dai rispettivi allenatori.

Coach Sacripanti durante un time-out.

Avellino ha avuto un percorso più lineare (meglio: più linearmente di alto livello), iniziando forte il campionato, installandosi tra le prime 4 della classifica e mai fuoriuscendo da questo poker d’assi di alta classifica. Il roster è rimasto quasi lo stesso dalla prima all’ultima giornata, segno di ottima programmazione e, il che non guasta mai, di un po’ di buona sorte- certo di infortuni ce ne sono stati, per esempio ai due big man che presidiano il pitturato irpino, infatti prima Cusin e poi Fesenko hanno dovuto osservare settimane di stop, ma nessun avellinese ha visto la propria stagione anticipatamente conclusa da legamenti saltati o tendini spezzati. L’unico momento di sbandamento tecnico mostrato dalla compagine di coach Sacripanti è arrivato qualche settimana prima del rush finale che ha poi deciso griglia e accoppiamenti play-off, sbandamento dovuto alla difficoltà di inserire in squadra un elemento del calibro di David Logan. La decisione di aggiungere una guardia come Logan nasceva dalla necessità di aggiungere ulteriore pericolosità perimetrale, ed anche ulteriore ball-handling, ad una squadra desiderosa di non lasciare nulla di intentato in questa sua scalata al vertice ed indubbio è stato l’upgrade nel passare dal 25% da tre di Retin Obasohan, la guardia titolare della prima parte di stagione, alla perizia perimetrale del professor Logan che nelle 11 partite di stagione regolare disputate ha fatto registrare un buon 38% da tre mandando a bersaglio 30 delle 79 triple tentate; in compenso Logan ha tirato un pessimo 20% dalla lunga nel primo turno dei play-off contro Reggio Emilia segnando solo 4 delle 20 triple tentate, ma è ragionevole pensare che l’americano tornerà alle sue solite percentuali contro Venezia (peraltro va segnalato come, sempre nella serie contro Reggio, Logan sia riuscito a contribuire all’attacco avellinese per altre vie, ad esempio tirando il 63,6% da due punti realizzando 14 dei 22 tiri tentati).

David Logan con la maglia del Lietuvos Rytas, tappa intermedia tra il felice periodo sassarese e la sua attuale avventura in maglia Sidigas.

Avellino gioca uno stile definibile come 1-4, un lungo d’area e quattro giocatori in grado di, al contempo, punire la difesa dal perimetro o rimetterla per terra per cercare un tiro ancora migliore. Dunque a comporre il quintetto che affronterà Venezia (la stessa Reyer Venezia che ha eliminato Avellino agli ottavi di Fiba Champions League) dovrebbero essere: Fesenko, centro ucraino, produttivo colosso da post-basso; Leunen, stretch four da 37.9% da tre in stagione e vero playmaker aggiunto a 3 ast di media a partita; Thomas, ala piccola americana dal 41% da tre; Logan, all’ennesima serie play-off della sua carriera italiana; Joe Ragland, playmaker miglior realizzatore perno tecnico e leader emotivo del branco di coach Sacripanti; dalla panca: un istituzione della pallacanestro italiana, ed irpina in particolare, come Marques Green; la guardia-ala Randolph (45% da tre in stagione); lo specialista Zerini, cambio di Leunen; e Marco Cusin, esperienza rimbalzi e stoppate al servizio della causa (ci sarebbe pure Shawn Jones, centro americano di passaporto kosovaro, arrivato in prestito dall’Hapoel Gerusalemme nel periodo di convalescenza di Fesenko, probabile veda il campo solo in caso d’emergenza).

Hand-off (passaggio consegnato) da Fesenko a Ragland con Toto Forray di Trento in agguato.

La stagione di Trento, invece, ha vissuto un periodo basso e poi un periodo alto. Non alti e bassi alternati come comunemente accade e si dice ma una stagione divisa tra il periodo che va dalla prima alla dodicesima giornata con Trento relegata nelle parti basse della classifica e poi un campionato tutto diverso dalla tredicesima giornata sino all’attuale semifinale contro la corazzata (per l’Italia si intende, che in Eurolega ci ridono dietro) Milano. Il momento determinante della stagione è stato quello del passaggio da un quintetto più ortodosso e strutturato, con un centro puro stoppatore in Johndre Jefferson, Baldi Rossi stretch four, un’ala ibrida in Joao Gomes, una guardia tiratrice in Lighty e un play difensivo e distributore in Craft coperti dalla panca dal play Forray la guardia-ala Flaccadori e il mini-centro Hogue, ad un quintetto da corsa e battaglia che prescindesse dal lungo tipico e sparigliasse le carte a vari livelli; così tagliati Jefferson e Lighty arrivarono a rinforzare il roster due ali piccole come il versatile Devyn Marble (ex Orlando Magic) e il rientrante Dominique Sutton (già a Trento l’anno scorso).

Dominique Sutton abbrancato da Phil Goss. Le medie di Sutton in campionato: 15.7 pts, 7 reb, 1.9 stl col 60.2% da due punti e il 43.9% da tre punti. Il suo tiro da tre, però, rimane- come dire?- storicamente ondivago.

I due innesti hanno permesso a Buscaglia di alterare significativamente quintetti e stile di gioco rispetto ad inizio stagione passando ad un quintetto small, e soprattutto smart, con Baldi Rossi da 5, Gomes da 4, Craft play, Marble e Sutton intercambiabili on the wings, dunque un quintetto senza vera guardia tiratrice ma con play distributore, lungo atipico e tre ali di varia foggia; ed è stato questo quintetto a dare la svolta alla stagione di Trento, rendendola la più difensivamente abrasiva e atleticamente eccitante squadra del campionato italiano. Epperò manca a questo resoconto il penultimo capitolo: a poche settimane dalla conclusione della regular season sono saltati i legamenti crociati di Marble e Moraschini più il menisco esterno, con parziale interessamento del legamento, di Baldi Rossi (ovviamente, stagione finita per tutti e tre, anche se Baldi Rossi ha ventilato l’ipotesi di un miracoloso recupero…) mettendo con ciò a rischio quanto di bello fatto dall’Aquila Trento sino a quel momento. I trentini hanno risposto subito tornando sul mercato per firmare l’ala piccola di 2 metri Shavon Shields e promuovendo in quintetto il centro (di 1 metro e 98 centimetri..) Dustin Hogue e così ulteriormente estremizzando il loro sistema di gioco fatto di grande aggressività sulla palla e cambi difensivi continui grazie all’omogeneità di stazza dei vari Sutton Gomes Hogue Shields e Flaccadori, classico caso in cui la difesa dà da mangiare all’attacco generando punti facili in campo aperto e quando non c’è campo aperto allora rimbalzi offensivi per tutti, Hogue in testa (3.2! rimbalzi offensivi di media a partita); la cattiva notizia è che tutto ciò (quasi) sicuramente non basterà contro una Milano che alla rotazione a sette di Trento opporrà la sua ricchissima e confusionaria rosa di campioni (o in alcuni casi, presunti tali). Comunque, pronostici a parte, l’ultimo capitolo di questa stagione per Trento come per Avellino è ancora tutto da scrivere. In bocca al lupo.

Joao ‘Beto’ Gomes costringe il pistoiese Antonutti ad una posa innaturale. Scherzi a parte, in un attacco come quello di Trento, le doti balistiche di Gomes sono essenziali: 36.4% da tre in stagione (59 triple a segno sulle 162 tentate), 47.8% da tre contro Sassari al primo turno play-off (11 triple a bersaglio su 23).