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Il Calcio Nascosto – Rolando Carlos Schiavi

Caro lettore,

partiamo da Il Calcio, volutamente preceduto dall’articolo determinativo, di proposito con lettera maiuscola. Gli spagnoli direbbero Mas que un deporte. Unisce e appassiona. Divide e allontana. E’ criticato e amato, talvolta è addirittura venerato. Può essere religione. E’ stato detto che “non c’è un altro posto nel mondo dove l’uomo è più felice che in uno stadio di calcio”. E’ stato detto che “per quanto bello, non va dimenticato che un pallone da calcio è pur sempre gonfio d’aria”.

Ma mi rivolgo a te, che che stai leggendo queste parole. Qualunque sia il tuo rapporto con questo sport, qualunque sia la tua opinione, qualunque sia il tuo personalissimo parere tra quelli sopra elencati… importa davvero poco. Perché stai leggendo “Il Calcio Nascosto”, e l’obiettivo di questa rubrica non è allontanare, non è appassionare, non è criticare, né tanto-meno venerare. No. L’obiettivo è alzare il sipario e svelare le storie recondite, quelle che trovi nascoste nelle biblioteche più antiche o nelle stive di una nave affondata. Storie scomparse o sotterrate, che in pochi conoscono, nascoste da un velo di polvere. Storie di calcio, che in un attimo diventano storie di vita…

ROLANDO SCHIAVI 

Lincoln, Argentina. 1973.

Via Fortin Chiquilo. Percorrendo la strada verso nord-est è possibile osservare in lontananza l’incrocio con la 25 de Mayo. Il vento invernale ferma il tempo e le strade, ma resta a terra la leggera polvere tipica delle lande desolate. El senor Schiavi trascorre le sue giornate riparato da tutto il bello e il brutto della strada, nella sua bottega da macellaio, a squartare bestie e rivenderne la loro carne ai clienti, pochi e fedeli. La Lincoln di inizio anni ’70 è una cittadina di poco più di quindicimila abitanti, che si poggia sui pilastri tipici del nord dell’Argentina: l’agricoltura, l’allevamento, la piccola industria. L’influenza di Buenos Aires, distante circa 200 miglia, è presente più nei sogni che nella realtà. E nell’influenza e nei sogni di un argentino c’è inevitabilmente il calcio. El senor Schiavi gioca, è difensore ruvido, nei pomeriggi con gli amici del quartiere. La dama Schiavi lo aspetta a casa, intenta a badare alle faccende e ai due ragazzi: Fabio Hernan, tre anni, e Rolando Carlos, nato da poco, precisamente il 5 gennaio.

Il tempo passa. Lincoln si trasforma in un centro sempre più importante. Gli eventi in Argentina iniziano a susseguirsi velocemente: la guerra delle Falkland, il ritorno alla democrazia, il Governo Alfonsìn. Sono anni di grande cambiamento, che portano agli inizi dei ’90 e all’avvento del Governo Menem. La famiglia Schiavi, dal canto suo, osserva il corso degli eventi, restando una humilde familia, una vera fucina di valori morali.

Il primogenito, Fabio Hernan, inizia a giocare al calcio nella squadra della città, il Club Rivadavia. Arriverà ad essere un buon calciatore professionista, raggiungendo l’apice della carriera tra il 1997 e il 2000 con la maglia del Chacarita Juniors, nella Primera B Metropolitana. Il secondogenito, Rolando Carlos, inizia a giocare al calcio qualche anno dopo, nella stessa squadra del fratello, Il Club Rivadavia. Le aspettative su di lui sono negative: tecnica grezza e rudimentale, fisico imponente ma a tratti scoordinato e impacciato.

La prima e la seconda adolescenza di Rolando, la famiglia Schiavi la passa così: a seguire i figli in campo e a seguire il Boca allo stadio la domenica, sugli spalti della Bombonera. Le Xeneizes sono una fede tanto quanto quella per la religione cattolica. Soprattutto per una famiglia di origini italiane come gli Schiavi, che si rivedono nella nascita stessa del club (ndr: il Boca prende il nome dall’omonimo quartiere di Buneos Aires, abitato soprattutto da genovesi, “xeneizes” in spagnolo).

Dei due ragazzi di casa, comunque, Rolando capisce subito di avere qualche carta in più da giocarsi. Non si sa bene come, ma nel 1991 arriva la chiamata delle giovanili dell’Atletico Argentino, che due anni dopo lo fa approdare in prima squadra. Col club bianco-blu colleziona 37 presenze e comincia a farsi conoscere per quello che è: un arenoso che non molla mai. Nel 1995 un agente gli procura un provino con l’Argentinos Junior, la squadra di Rosario che presentò al mondo un certo Maradona. Il provino è superato, Rolando arriva nel calcio argentino che conta. Con El Semillero conquista una Primera B e mette in cascina 150 presenze e 10 reti in sei stagioni, diventando anche capitano dopo tre stagioni.

Negli anni duemila la periferia di Lincoln è un lontano ricordo. Ma le lezioni di vita che Rolando Schiavi ne ha ricavato sono vivide e influenti nella sua carriera da giocatore. Nel 2001 la sua vita e quella di tutta la sua famiglia cambiano per sempre. Anzi, per uno strano effetto di osmosi che solo lo sport sa provocare, tutta la città di Lincoln sta per vivere un momento storico: Carlos Bianchi lo porta al Boca Juniors, proprio la squadra di familia, un sogno. A 28 anni sembra tardi per una carriera ai massimi vertici, ma Rolando sopperisce alla macchinosità, alla mancanza di tecnica e ad una carta d’identità non proprio verdissima, con le solite doti, che certi dicono abbia appreso negli anni di lavoro accanto al padre: la grinta, la determinazione, la capacità di arrivare sempre e comunque, in qualsiasi modo, sul pallone o sulla gamba.

In realtà i dubbi dei tifosi sono molteplici: El Flaco (spilungone) è sgraziato, non ha mai giocato in un club di livello assoluto. Ma è un provincial, uno che viene dalla landa di Lincoln, e il pubblico de La mitad mas uno -altro soprannome del Boca- gli concede un’occasione. Nel giro di pochissimo tempo diventa un vero e proprio idolo, un titolare inamovibile, un’icona calcistica. Impara non solo a farsi rispettare, ma arriva anche a farsi venerare, per quell’indole di sopravvivenza che si porta dietro da bambino: “Ricordo ancora alcune partite nella periferia di Buenos Aires – raccontò una volta durante un’intervista –  e per quanto mi sforzi, non me ne viene in mente una che non sia finita in rissa. Si perché a casa mia, tra la mia gente, la mancanza di rispetto e l’onore calpestato si pagano col sangue. Sempre“.

La prima partita con la maglia azul y oro è durissima. Amichevole contro la Roma, deve marcare un certo Gabriel Omar Batistuta. Lo fa benissimo, tanto che si vocifera di un interesse di Capello e della sua intenzione di portarlo a Roma. Non se ne farà nulla, ma è un’indiscrezione che sancisce la definitiva nascita di un’immagine sportiva. Col Boca vincerà tutto: Apertura 2003, Apertura 2005, Copa Libertadores 2003, Coppa Intercontinentale 2003 (ai rigori contro il Milan, durante la partita limita Kakà con tutti i mezzi possibili, gomito compreso), Copa Sudamericana 2004, Copa Sudamericana 2005. Nell’immaginario collettivo resterà indelebile il suo gol, senza dubbio il più importante della sua carriera, nella semifinale della Libertadores 2004 al River Plate.

E poi, l’aneddoto per eccellenza. Il 28 febbraio 2003 si gioca Colo Colo-Boca, in quel di Santiago. Schiavi ha un dolore lancinante allo stomaco, accusato subito dopo il risveglio al mattino. Ma gioca lo stesso. E in campo annulla letteralmente un certo Zamorano. Al termine della gara viene trasportato d’urgenza in ospedale, dove si scoprirà essere vittima di un fortissimo attacco di appendicite. Si potrebbero spendere parole, francamente inutili. Questo, semplicemente, era Rolando Schiavi.

Nel 2006 arriva la chiamata europea. Rolando si trasferisce nella Serie B spagnola, all’Herculès, per 550mila euro. Resterà solo un anno. Il motivo? “Va bene che cercavo tranquillità, ma non così tanta: dagli stadi sempre pieni sono passato a quattromila spettatori seduti”. L’anno successivo torna in Sudamerica, in Brasile, al Gremio: raggiunge la Finale di Copa Libertadores, contro il suo Boca. Perde, non potrebbe essere altrimenti.

Nel 2007 sposa i colori del Newell’Old Boy, coi quali collezionerà 120 presenze e 18 reti (record per un difensore nella storia della Lepra). Nel 2009 firma per l’Estudiantes: ha ancora il tempo, in sole quattro partite, di mettere in cantina un’altra Libertadores, vinta 3-1 in Finale contro il Cruzeiro, assieme a Veron e Boselli. Eppure, il punto più alto della sua carriera deve ancora arrivare. Sulla panchina dell’Argentina siede Diego Armando Maradona, che all’improvviso lo convoca. A 36 anni, 7 mesi e 22 giorni diventa il giocatore più anziano di sempre ad esordire con la Seleccion. 

La magia non si ferma: l’anno successivo ritorna lì, nella SUA squadra, il Boca, per un’ultima stagione. Lincoln apprende la notizia in un pomeriggio di inizio estate. La leggenda vuole che numerose persone si recarono in chiesa per accendere ceri all’altare, ringraziando il dio di turno. Qualcuno pianse. Perché ancora una volta il mondo posò gli occhi su quella piccola cittadina, su quella landa un tempo desolata e divenuta famosa per aver dato i natali a uno dei giocatori argentini più amati di tutti i tempi.

Rolando Schiavi nell’ultimo anno al Boca riesce a vincere un’altra Apertura, quella 2011, e a perdere una finale Libertadores contro il Corinthians. I tifosi lo vedono farsi superare da avversari di dieci, quindici anni più giovani. Poco importa. Il cuore, l’onore, l’anima, contano più di ogni altra cosa. Annuncia il suo ritiro dal calcio giocato il 12 Dicembre 2012. La Doce lo ha sempre amato, e gli riserva uno degli addii al calcio più belli di sempre. La Bombonera unita in un solo coro, il nome del Flaco che rimbomba, e Schiavi in lacrime. “Sentire l’affetto e il coro dei fan è qualcosa di incredibile – dirà a fine partita – Non so se merito tutto questo, ma ne sono grato”.

Ha giurato che non giocherà mai più contro il suo Boca. E così sarà. Perché Schiavi è uomo di onore e di parola. La sua storia ha insegnato che non c’è limite di tempo, che il fuoco della passione può battere confini di ogni sorta, che di fronte agli insulti (“pezzo d’asino” era il più gettonato ad inizio carriera) si può rispondere con i fatti. Gracias, Flaco. Icono, mito, leyenda.